SOS: Salviamo lo studente americano!

Come far capire al mondo intero che gli studenti americani non sono poi così stupidi come i libri di italiano per stranieri prodotti ed utilizzati esclusivamente negli Stati Uniti si ostinano a voler far credere?

E ne consegue un dilemma: perché i libri di italiano per americani vendono solamente negli Stati Uniti? La prima risposta: poiché vengono commercializzati esclusivamente negli States, potrebbe essere un buon motivo, ma non è sufficiente…

Tra le mie mani stringo il recentissimo: A VICENDA, 2 volumi (lingua e cultura), di Romana Capek-Habekovic e Claudio Mazzola, editrice McGraw-Hill Higher Education.

Cosa c’è che non va, presto detto…

La grafica è accattivante e nonostante l’idea di portare avanti la storia di due amici, molto diversi caratterialmente, non sia nuova (Un giorno in Italia ha inaugurato la saga di Piero), il tentativo è comunque apprezzabile. Anche in questo caso siamo davanti a brani non autentici, di un manuale per un livello intermedio, ma questa volta ho molti più dubbi e perplessità.

Prima unità, prime pagine, si presentano i protagonisti del libro, Alex e Lele. Gli studenti vengono travolti da due presentazioni rispettivamente di 23 e 20 righe, righe densissime di lessico, non sempre appropriato al livello intermedio e comunque tanto anche nella quantità. Nella presentazione di Alex, ci sono le seguenti frasi:

“Purtroppo però, per certi versi, sono un classico mammone vittima della tipica famiglia italiana un po’ vecchio stile (…)”; “Mi dicono che sono un tipico prodotto della mia generazione, abulico, senza interessi e vittima di questa società (…); “Non so quello che farò dopo l’università, ma sicuramente voglio trovare un modo mio per essere Alex e non quello che i miei vogliono che io sia”.

Tra le 23 righe c’è solo un’espressione seguita dalla relativa traduzione tra parentesi, l’espressione è “di testa mia (my way)” (mentre “abulico”, secondo gli autori, non ha bisogno della traduzione a lato…)

Il secondo brano inizia con il protagonista, Lele, che dice che deve presentarsi agli studenti anche se non ne ha voglia, quindi aggiunge:

“Se non lo faccio però non mi pagano (…) ma non sono sicuro che dobbiate credere a tutto quello che dico”; “i miei erano sul punto di divorziare ma il divorzio era una sconfitta per tutti e quindi i miei hanno deciso di restare insieme anche se non si amavano più”.

Alla fine di questi brani faticossimi, c’è un esercizietto di comprensione globale che li accomuna e cioè, date 8 frasi, bisogna capire quali riguardino Alex e quali Lele. Tutto quel lessico contenuto nei testi, riguardante soprattutto gli aggettivi (ma sono anche presenti espressioni idiomatiche), e che agli studenti costerebbe fatica comprendere, non viene più ripreso.

Nella pagina successiva c’è la sezione SOSTANTIVI, AGGETTIVI e VERBI, per un totale di 6 parole con traduzione affianco, tra le quali “abulico” e “agiato”. La quarta voce è “ESPRESSIONI COMUNICATIVE” ed annovera niente di più comunicativo di: “bensì, di passaggio, per certi versi” con relativa traduzione. Seguono due esercizi di lessico, che riprendo le espressioni dei 4 punti precedenti. E grazie a questi esercizi ho scoperto che “il porto”, è sinonimo di “la marina” (navy).

Nella prefazione si legge che questo libro nasce dal desiderio degli autori e degli studenti di creare una base di discussione/scambio in classe (in inglese c’è scritto: “as point of departure for dialog in the classroom”), sarà! Sempre nella prefazione c’è il titoletto: “Class-tested materials”, che dovrebbe rassicurarci: sapere che il libro è stato testato su vari studenti e da vari insegnanti, ci tranquillizza sul fatto che abbiamo un prodotto di qualità, sarà!

Ma quale insegnante responsabile maltratterebbe lo studente con la lettura di 43 righe densissime di significato, complesse per la lettura e digestione, per impostarci solo una comprensione globale e un tentivo fallito di comprensione analitica relativamente a 9 termini che poi vengono tradotti? La sezione grammaticale invece è non solo tutta completamente in inglese, ma occupa quasi 12 pagine e si ripassa di tutto: dai pronomi personali alle stagioni, dai numeri ordinali e cardinali alle espressioni di tempo con fa e scorso, con ogni tanto qualche esercizietto.

Insufficiente anche la proposta per la produzione orale con il seguente spunto:

1: Domande personali: con un compagno parla di te stesso, degli amici che hai, dei posti interessanti che ci sono sul campus e così via (input a dir poco incoerente).

2. Il ventunesimo secolo: In gruppi parliamo del secolo in cui viviamo. Cercate di identificare degli eventi e personaggi importanti sia del mondo politico, artistico o quello dello sport.

Cominciamo: – Questo secolo è cominciato da poco e ci sono già grossi problemi

E’ vero…

Per correttezza gli autori ci informano che il testo rispetta le “five Cs of foreign language learning” e cioè “Communication, cultures, connection, comparison and communities, as expressed in Standards for Foreign Language Learning”.

Mi chiedo: ma se gli studenti sarebbero in grado di impostare in gruppi una discussione sul XXI secolo che inizia come illustrato sopra, perché non possono allora leggere una spiegazione di grammatica in italiano?

E mestamente verso la conclusione aggiungo:

Questi manuali vengono prodotti da studiosi di linguistica o dottori in letteratura che in classe hanno sempre e solo lavorato nel modo in cui attestano i libri di cui sono autori, di conseguenza nessun insegnante di italiano per stranieri che ha un minimo di esperienza e sensibilità, avrebbe il coraggio di adottarlo, si tratta proprio di avere coraggio o spudoratezza, perché c’è la consapevolezza di stare a fare un torto agli studenti.

Ci sono le consegne e spiegazioni grammaticali in inglese, e questo fa davvero da deterrente.

Ma chi glielo insegna a questi due esimi colleghi che gli studenti americani hanno un’anima, assai splendida ed una mente agile?

30 pensieri su “SOS: Salviamo lo studente americano!

  1. Vi riporto la discussione tra me e Farfagliuso De’ Farfagliusi, esperto di grammatica.

    Ciao Farfagliuso, ho una domanda per te.
    Si è scatenata una diatriba grammaticale su il due blog. Nell’articolo “SOS: Salviamo lo studente americano” l’autrice usa in modo sperticatissimo un periodo ipotetico. La frase la trovi facilmente perché è verso la fine in neretto. Recita “se gli studenti sarebbero in grado di impostare in gruppi una discussione sul XXI secolo che inizia come illustrato sopra, perché non possono allora leggere una spiegazione di grammatica in italiano?”. Detta così è certamente sgrammaticata, ma leggendola in contesto non ne sarei così certo. Ma non voglio influenzare il tuo giudizio. Che ne pensi?
    Grazie
    Porfido

    Appena tornato a casa da una lunghissima giornata conclusa in un’osteria di Frascati non ho il fegato di leggere l’articolo per “contestualizzare” la frase. Ciò nonostante non so resistere alla tentazione di espormi immediatamente con un “mi pare una frase sperticata come dici tu, ma assolutamente corretta se l’intenzione dell’autore sperticatissimo era quella di dire “se è vero che”. Certo, al posto dell’autore avrei usato la formula completa SE/- SE È VERO CHE o almeno avrei continuato con un PERCHÈ NON POTREBBE ALLORA…, così, tanto per non scatenare discussioni sull’uso del congiuntivo di cui gli italiani vanno di solito ghiotti. Ripeto che non ho letto l’articolo e quindi non conosco l’intenzione dell’autore, ma considerando che parla di questi argomenti immagino non sia uno sprovveduto, così tanto sprovveduto da cadere in un errore tanto dozzinale. Più probabile quindi che non si tratti di ipotetica ma di una concessiva-dubitativa o qualcosa del genere. E vista la tua domanda immagino che anche tu abbia valutato proprio questa possibilità. Vatti a godere il tuo Papa amante del tango mentre io me ne andrò a smaltire vino bianco e romanella a letto. Ciao ciao.
    Farfagliuso De’Farfagliusi

    completamente d’accordo con te. Riporterò nei commenti la tua analisi. Peraltro avevo omesso che la frase è introdotta da “mi chiedo”.
    “Mi chiedo: se gli studenti ecc.”
    Porfido

    :))) quindi il povero autore si è imbarcato in una concessivo-dubitativa in odore di interrogativa indiretta? Be’, ma allora – fermo restando che quello che scrive mi pare corretto – il tapino va proprio a cercarseli i guai!
    Mi ricorda il giochino che si fa domandando a bruciapelo di rispondere alla domanda “SE ANDREI si può dire in italiano?” Quando (come quasi sempre) ti rispondono “no” allora si dice: “Certo che si può, per esempio nella interrogativa indiretta NON SO SE ANDREI.
    Nel caso l’interlocutore sia furbo e sappia la storiella dell’interrogativa indiretta invece gli si domanda: “in quale caso si può dire SE ANDREI in italiano, a parte che nell’interrogativa indiretta?”. Qui rispondere è più complicato. E la soluzione è la frase SE ANDREI NON FOSSE RUSSO NON VIVREBBE A MOSCA. Ridere è facoltativo ma quando si parla di grammatica delle ipotetiche a me viene sempre il buon umore…
    Farfagliuso De’Farfagliusi

  2. Scusa Clelia, ma Ladylink non sembra proprio per niente arrabbiata con te. Non so dove leggi quello che scrivi. Io non lo leggo, e non mi serve confrontarmi con Ladylink per dirlo.

    Io ho creato questo blog parecchi anni fa, Ladylink ben presto ha cominciato a metterne i contenuti con me, per cui buona parte dei complimenti vanno anche a lei.
    Quanto all’errore… non volevo intervenire. Sinceramente non volevo farlo. Ma se insistete lo farò, e consulterò qualcuno. Per ché non ho convinzioni così infallibili.

  3. “Godete popolo che scarseggiano pane e brioches” che senso ha? Perchè te la prendi? Non era mio intento screditare il tuo lavoro. Trovo i contenuti di questo blog molto interessanti. Ti ho solo fatto notare un errore, per altro molto grave. Scrivi un articolo dove si parla dell’insegnamento dell’italiano, non trovi legittimo che chi legge ti segnali una castroneria del genere? Capita a tutti di sbagliare. Si trovano errori madornali anche nelle edizioni più prestigiose, ma rispondere così non ha proprio senso. Lascia pure l’errore, se senti di avere ragione. Ti dico solo che se non ami ricevere critiche, forse il web 2.0 non è il luogo più adatto per te..

  4. Interessante discussione, ma “se gli studenti sarebbero in grado” è un errore gravissimo, che mal si addice a chi insegna italiano. Ancor più grave è che nessuno se ne sia accorto.

  5. Pingback: il due blog» Archivi Blog » SOS: Salviamo lo studente americano! (2)

  6. Ho l’impressione che per lo spagnolo e il francese, grazie anche alla maggiore tradizione, la situazione sia un po’ migliore: migliori e piu’ vari i materiali in commercio e maggiore la formazione e la consapevolezza dei responsabili dei corsi, con positive ricadute sulla struttura e sugli obiettivi dei corsi stessi.

  7. si’, ho capito di stare in un’isola felice. In effetti anche in Turchia, nonostante le tante difficolta’, alcune colleghe erano state disposte a mettere in discussione anni di lavoro, per una lezione piu’ funzionale con contenuti piu’ semplici… ma fu dura….

    grazie per il link

  8. Allora non ho fatto malissimo a declinare quell’offerta negli States…

    L’articolo di ladylink fa riferimento agli Standards for Foreign Language Learning, che (immagino) per chi insegna negli USA debbano essere pane quotidiano.
    Se non ho capito male, è una specie di Framework per le lingue versione USA.
    Tra le cose che mi hanno colpito è che la competenza interculturale è un obiettivo esplicito.
    Qui c’è il riassunto:
    http://www.actfl.org/i4a/pages/index.cfm?pageid=3324

  9. eh, anch’io avrei la tendenza a “fare le cose come Dio comanda”: ci pensano il sillabo e i quiz (ogni due/tre settimane) a tenermi a bacchettina. Se non copro tutto il programma i miei studenti non arrivano preparati alla prova, con tutte le nefaste conseguenze del caso.

  10. scusate la mia involontaria ansia di protagonismo: Piroclastico, non so che titolo di studi tu abbia, ma tra le offerte di lavoro piu’ recenti il PhD a volte e’ richiesto anche solo per insegnare corsi di lingua. Questo si’: di solito dev’essere un dottorato in letteratura o “Italian Studies” (un misto di letteratura, critica letteraria, storia, antropologia ecc. ecc.). Esistendo poi abbondante offerta di “manodopera” qualificata in loco, un candidato europeo ha qualche difficolta’ in piu’ a farsi strada. Purtroppo non so quale sia la tua situazione.

  11. interessante discussione. Per quel che mi riguarda trovo frustrante l’esperienza della lettura fatta a casa: preferirei mille volte riuscire a dedicare 25 minuti delle mie lezioni, una volta alla settimana, alla lettura in classe di un testo che avesse un minimo di rilevanza. Anche per fargli imparare qualche strategia di lettura. Non sto insomma parlando della seguente penosa situazione “John, leggi a voce alta le prime tre righe… bravo… no, non si pronuncia cosi’… ecco… si’… hmmm… prova ancora… ecco… si’… un po’ meglio… “sc” non “s”!!! ecco… siiiiii… braaaaavo”, ma di strategie globali di comprensione e analisi. Purtroppo in questo sistema e’ tutto talmente parcellizato che non resta spazio per attivita’ subito tacciate come “time consuming”. Venti minuti persi a leggere ad alta vice, invece sono altamente produttivi.
    A Piroclastico vorrei solo indicare un paio di titoli molto interessanti: per il francese “Mais oui!” della Houghton Mifflin (e dagli con il punto esclamativo…) e per lo spagnolo “Sol y viento” della McGrawHill (ma allora c’e’ vita anche alla McGrawHill!), che annovera tra i propri autori Bill Van Patten, il “guru” dello structured input.

  12. cara ll, capisco le problematiche, e vedo anche tante contraddizioni. L’è dura…
    Quanto a ItEs, rispondo brevemente ai tuoi quesiti.
    1. come dici tu, le istruzioni, almeno sul primo volume, in inglese, sono un requisito richiesto, non una scelta della casa editrice. Se vuoi fare un libro per quel mercato lo devi fare così. Altrimenti ti becchi solo i transfughi.
    2. beh, in un manuale comunicativo la cultura si fa un po’ ovunque. Le sezioni chiamate “caffè culturale” non sono in inglese. C’è sempre un testo in italiano, o qualcosa da fare in italiano. Poi c’è una rubrica che si chiama “con occhi di straniero”, che è un “tema”, diciamo così, su un aspetto dell’essere straniero (americano o comunque anglofono) in Italia: la religione, il cibo, il traffico, eccetera (non ricordo bene, butto lì). Tutti temi che sono piuttosto incomprensibili per uno straniero agli inizi. Quello che volevamo fare era far fare allo studente una chiacchierata con un americano su quel tema dell’Italia, dello stare in Italia, del vivere in Italia.
    Un testo in italiano sarebbe stato, a quel livello, troppo semplificato e, gioco forza, semplicistico.
    Quando farle fare? Anche a casa, perché no.

  13. in risposta alla curiosità, legittima, di porfido, posso affermare che

    non potranno mai esistere manuali adatti per il sistema universitario americano, perché all’inizio del corso intermedio si ripete tutta la grammatica studiata, infatti noi abbiamo già adottato It. Espresso 2 per il 231 (secondo livello (cioè l’intermedio, primo semestre) ed il problema è stato proprio che è stato dovuto effettuare un ripasso totale della grammatica, per arrivare ad usare il libro che parte con il passato prossimo
    (no comment, please, è già abbastanza difficile!)

    a me It. Espresso per il livello intermedio spaventa un po’, perché è molto complesso e le letture molto lunghe, ma meglio dover rielaborare un brano di It. Espresso che dover perdere tempo per altre ricerche o per dover scrivere io qualcosa

    per gli studenti che hanno studiato su Ciao! passare a It. Espresso 2 sarà traumatico, ma io confido nelle mie capacità (mi toccheranno 3 classi di 231 nel Fall Semester) …però ecco all’improvviso scompariranno le consegne in lingua inglese e le pagine del CAFFE’ CULTURALE saranno interamente in italiano…

    CIRCA ITALIAN ESPRESSO 1

    a) i famosi colleghi Senior, che lavorano ai livelli principianti, per i vari motivi elencati da me e da Adalberto, hanno reputato Italian Espresso I non adatto per gli studenti; la coordinatrice del livello, ha rispettato il loro parere, ma ha adottato It. Espresso per i corsi intensivi estivi. In questo modo potremo un minimo avere un feedback sul libro ed alcuni studenti saranno già preparati al tipo di lavoro, visto che li aspetta It. Espresso 2, per il corso intermedio. Confidiamo sul feedback positivo degli studenti, grazie al quale potremo forse provare a riproporre il manuale per i livelli iniziali

    b) It. Espresso 1 ha lo stesso difetto di altri libri:
    1) le istruzioni in inglese (ma anche il libro di portoghese che uso le ha in inglese), ma questo è un requisito dei manuali adottati negli States
    2) ci sono delle pagine dedicate alla cultura italiana (CAFFE’ CULTURALE) in inglese
    domanda n°1: PERCHE’ in inglese?
    domanda n° 2: quando verranno lette? mai a lezione, proprio per mancanza di tempo, le lezioni sono da 50 minuti, oppure, 75 minuti o 100… e io ho ancora difficoltà a sistematizzare il mio metodo di lavoro con queste “tempistiche”, (per l’italiano ho 2 lezioni settimana da 75)

    capisco che è meglio fargli leggere qualcosa in inglese, che non fargli arrivare nulla, quantomeno in It. Espresso l’acculturazione avviene in qualche modo lavorando…ecco, con gli altri manuali questo non succedeva…

    a proposito, Samantha M. a pagina 104 è stata una mia studentessa…. non ci potevo credere quando l’ho riconsciuta…. 🙂

    ragazzi per ora è tutto, sono le 17, devo lavorare ancora un po’ e poi esco … he he

    a presto

    ll*

  14. piroclastico…ma quando mai…. semmai è il contrario, proprio come affermiamo io ed Adalberto: c’è troppa formazione, ma non in didattica di una ligua straniera
    ma hai mai letto i bandi delle università statunitensi

    stiamo per entrare in un campo minato, lo sento, lo sapevo… mannaggia!!!

  15. caro Adalberto,

    speriamo accada come dici te.
    Ma non è che magari un italiano pieno id titoli viene scartato perché è “overqualified”?
    Ad ogni modo i testi di francese e spagnolo che dici sono prodotti negli usa o importati?

  16. Caro Piroclastico, la situazione e’ particolarmente difficile per l’italiano, forse perche’ sconta una lunghissima fase di marginalita’ all’interno del contesto accademico Usa. Da qui una certa polverosita’ dei dipartimenti, all’interno dei quali purtroppo a volte tendono a riprodursi dinamiche proprie piu’ dell’accademia italiana che di quella americana. Il francese e lo spagnolo godono di una situazione migliore e di cio’ si avvantaggiano anche i materiali didattici in commercio per quelle lingue, di sicuro piu’ al passo con i tempi. La speranza e’ che le nuove leve della glottodidattica italiana, in fuga dal nostro paese, invadano i dipartimenti d’italiano in tutti gli States, svecchiandone il modo di lavorare e aprendoli al XXI* secolo (beh, a volte ci si accontenterebbe del XX*…). Che ne dite?

  17. Mi chiedo e mi chiederò sempre come mai questo scollamento SPAVENTOSO tra teoria e pratica negli usa.

    Alla fine l’Inghilterra sta al passo: grandi testi di didattica, metodologia eccellente…

    ma come cavolo mai negli Usi si producono cose brutte (bruttissimeeee)?

    p.

  18. Per rispondere a “porfido”, per quel che ne so, “Italian Espresso” dovrebbe essere stato adottato alla Northwestern University di Chicago. Ripeto, “dovrebbe”.

  19. Purtroppo usare con una certa elasticita’ questo tipo di materiali e’ molto difficile, per le condizioni oggettive nelle quali si viene a insegnare: in genere, un sillabo molto rigido, lezioni brevi (50 minuti) e un’impostazione delle prove di valutazione che di comunicativo ha ben poco. Condurre comunicativamente una lezione (partendo per esempio da un ascolto rilassato, seguito da una produzione orale basata sull’ascolto precedente, a sua volta seguita da un’attivita’ analitica) e’ improponibile.
    Questi materiali (almeno quelli citati da me nel primo post) NON sono assolutamente comunicativi, nonostante i colorini e le immagini. La progressione e’ totalmente grammaticale e “cumulativa”, con buona pace della progressione “a spirale”. I testi, quando presenti, sono scarsamente significativi dal punto di vista (inter)culturale, quasi mai autentici e comunque sempre periferici (la nota culturale all’ultima pagina del capitolo). Per non parlare degli imbarazzanti stereotipi che vengono spesso veicolati. Lo stesso vale per gli ascolti.
    Come afferma ladylink, sembra che tutti gli autori sottostimino le capacita’ critiche di questi studenti.

  20. Mi trovo un po’ in conflitto d’interessi a parlare di manuali. E a citarne uno della casa editrice per cui lavoro (Alma).
    Ma giusto per curiosità: voi che lavorate negli USA conoscete “Italian Espresso”, creato appositamente per quel mercato, sui programmi delle università USA?

  21. Ciao Adalberto, felice di leggerti.
    Mi sono ritrovata tantissimo nelle tue parole. Non conosco Prego! perché è stato sostituito da Ciao!, attualmente in adozione. Mi ritrovo nelle tue parole e aggiungo che tutta la situazione rende l’adozione di libri più “comunicativi” difficile da digerire per i colleghi più anziani, che sono ancorati a delle certezze date dalla ripetizione della stesa formula e che pensano che un testo completamente diverso per impostazione, non giovi allo studente( noi cmq ma stiamo tentando il grande salto!!!).
    Tutto questo incide però sul tipo di lavoro da dover impostare. Oltretutto i libri sono costosissimi, oscillano tra i 100 ed i 150 dollari, quindi come non far usare il libro di testo a lezione o a casa? Durissimo, perché comunque c’è bisogno del nostro intervento visto che l’output dello studente è minimo, bisogna calibrare e rivedere tutto.

    e qui mi collego a Roberta

    cara Roberta, certo che la tua esperienza a Purdue è stata, a livello di didattica, molto singolare e negativa. Nel mio contesto c’è assoluta libertà su tutto, ma questo poi ha delle conseguenze pericolose (leggi “spiacevoli”) soprattutto per lo studente e per disomogenità che ne risulta.
    In realtà pur concordando sul fatto che non esiste il manuale perfetto, devo riconoscere che questi libri che circolano qui non possono essere usati “con una certa elasticità” come dici tu, perché non dovrebbero proprio essere usati, perché sono semplicemente una tortura per lo studente.
    Un manuale come Un giorno in Italia o come Espresso, propone un tipo di approccio molto più vicino alle necessità dello studente, anche di uno studente che studia ILS.
    Con questa tua frase concordo: “Difficilmente un insegnante concorda totalmente con l’autore del libro e le attività che propone.”.,ma non del tutto. Nel senso che qui negli States la situazione è abbastanza al limite (per quanto alcuni testi pubblicati in Italia lascino a desiderare, almeno quanto quelli della MacGHill). Ma normalmente, o almeno i testi più recenti, se la casa editrice è seria, vengono creati da autori che sono – sono stati insegnanti (vedi porfido), che hanno studiato e che quindi sanno cosa funziona o meno in classe. I libri vengono testati, mica si pubblica per gusto di farlo, quindi il prodotto editoriale finale è così perché così funziona. Quindi l’insegnante che compra il libro e lo usa in classe, ha un prodotto testato che offre delle garanzie, salvo essere poi io insegnante a decidere come utilizzare il prodotto, a seconda dei miei gusti, abitudini ma soprattutto necessità, visto che ogni corso e studente è diverso dall’altro.
    E’ chiaro poi che ogni insegnante integra e effettua delle scelte quando ha a che fare con un manuale….
    Che il libro di Rafael Perez abbia avuto successo negli Usa mi stupisce, nel senso che tutti i libri citati prima, e pubblicati dalla MacG.Hll, presentano lo stesso problema… vabbeh, però Perez ha una sua casa editrice, il che vuol dire che si può forse permettere più libertà…
    E mi chiedo come faccia ad avere successo sia negli Usa che in Messico, ma ecco, appena posso farò un salto sul sito, perchè mi hai incuriosita

    Alla prossima
    ll*

  22. Ciao. Se posso vi consiglio un libro di italiano per straneri appena uscito: ‘Esatto!’ scritto da Rafael Rojas Perez, un ragazzo messicano di soli 24 anni che ha già all’attivo 5 libri per insegnare l’italiano agli stranieri e ha una sua casa editrice http://www.coccolinaedizioni.com .
    ‘Esatto!’ è molto vivace e accattivante, con immagini molto piacevoli, e vuole essere uno strumento prima che di studio linguistico teorico soprattutto di vivace attività pratico-comunicativa.
    E’ piaciuto molto negli USA, oltre che nel Messico.
    Per quanto riguarda l’insegnamento negli USA, io penso che i libri adottati dovrebbero essere usati anche con una certa elasticità. Difficilmente un insegnante concorda totalmente con l’autore del libro e le attività che propone. E che un insegnante possa scegliere qualche pagina in più di una rubrica piuttosto che dover fare tutte le pagine della rubrica vicina credo sia piuttosto importante. Certo i programmi sono decisi prima, ma che un insegnante abbia una certa possibilità decisionale sul materiale o come presentarlo mi sembra importante, anche per un lavoro più coinvolgente e interessante in classe. E io purtroppo dell’anno in cui ho insegnato alla Purdue University posso dire che gli insegnanti erano totalmente privi di questa possibilità. Il programma era rigidissimo. Usavo anch’io ‘Prego!’ di MacGrawHill ma dovevo seguire con estrema precisione (programmazione quasi minuto per minuto della lezione) le direttive di una coordinatrice, senza minime scelte e apporto personale. Mi sembra un limite notevole. Non so se si usa anche nelle altre università americane.
    Ciao, Roberta Barazza
    barazzaroberta@hotmail.com
    http://www.rbarazza.blogspot.com

  23. Completamente d’accordo con ladylink, e a ragion veduta: ho insegnato per alcuni anni negli Stati Uniti e mi sono dovuto confrontare con materiali di questo tipo per tutto il periodo. Purtroppo, come afferma ladylink, molto spesso gli autori di questi testi sono persone totalmente prive di una vera formazione in didattica delle lingue: dunque “professors” di letteratura, spesso con una posizione consolidata all’interno di un dipartimento. Possiamo parlare tranquillamente di “incompetenza” (= mancanza di competenze specifiche). A volte non e’ nemmeno detto che parlino correttamente la nostra lingua. E mai come in questi casi citare il “conflitto d’interessi” e’ appropriato: non mi stupirei infatti se il libro menzionato fosse stato adottato dagli stessi autori per i propri corsi (e in pochissimi altri dipartimenti). Conosco altri casi simili. La strada da fare all’interno dei dipartimenti di Italiano, negli Stati Uniti, e’ lunga: il rinnovamento della glottodidattica avvenuto in Italia nell’ultimo decennio non ha infatti ancora scalfito questo mondo, che pure sarebbe cosi’ ricco di potenzialita’. Invito qualcuno dei partecipanti al blog ad analizzare testi come “Prego!” (MacGrawHill) o “Ciao!” (Thomson Heinle), solitamente adottato a livello di college nei primi semestri, per capire a cosa mi sto riferendo. La presenza in entrambi i titoli di un punto esclamativo non e’ l’unica, tragica, coincidenza…

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