Il due chiacchiere con… Franco Pauletto

Franco Pauletto è un insegnante di italiano e un dottorando in linguistica presso l’università di Stoccolma. Dopo la laurea in storia (università di Venezia), ha ottenuto un master in didattica dell’italiano come L2 (università di Padova). Da allora (2001) ha sempre lavorato come insegnante di italiano: prima in Italia (istituto “Venezia”, Venezia), poi in Spagna (Istituto Italiano di Cultura, Madrid), quindi negli Stati Uniti (University of Michigan, Ann Arbor) e, infine, in Svezia (Stockholms universitet), dove risiede dal 2008.

Franco, nonostante tu sia piuttosto giovane, possiamo dire che sei un insegnante esperto visto che hai insegnato italiano agli stranieri in varie parti del mondo prima di arrivare in Svezia. Ma che formazione hai avuto, e perché hai intrapreso questo mestiere?

Innanzitutto ti ringrazio per avermi dato del “giovane”, nonostante i miei 45 anni suonati: in effetti sono giovane come insegnante, nel senso che la mia carriera ha avuto inizio relativamente tardi, nel 2001. Dopo una tardiva laurea in storia contemporanea a Venezia (2000) e un’esperienza abbastanza fallimentare come guida turistica a Madrid (2000-2001), decisi che era arrivato il momento di “riciclarmi”. La scelta cadde su un master in didattica dell’italiano come L2. Il master era appena stato attivato presso l’università degli studi di Padova. Non che dentro di me bruciasse il fuoco inestinguibile della passione per la didattica. Tutt’altro: non avevo mai insegnato in vita mia e mai prima di allora avevo pensato alla possibilità di intraprendere questa carriera. Semplicemente (e qui riderai), quel master era l’unico i cui termini di iscrizione fossero ancora aperti. Chissà cosa sarebbe accaduto se avessi avuto un’alternativa: magari oggi sarei un affermato agronomo o un impagliatore di castori. La vita è sempre piena di sorprese. Iniziai a insegnare ancor prima di terminare il master, grazie ad un carissimo amico e collega che, nonostante le mie rimostranze, la paura e l’impreparazione, mi prese per i capelli e mi trascinò in classe. Posso dire che ciò che ho ottenuto sin qui lo devo in gran parte a lui. Grazie a lui ho scoperto un mestiere appassionante e sempre diverso. Grazie Paolo!

Dal punto di vista didattico hai cambiato molto il tuo modo di insegnare a seconda del tipo di apprendenti che avevi davanti e del luogo in cui stavi?

Mmm, non saprei. Mi sono trovato ad operare in contesti molto diversi, ma l’impressione che ho è che siano stati sempre i miei studenti a fare un grande sforzo di adattamento rispetto al mio approccio didattico. In realtà, il modo in cui lavoro a Stoccolma si discosta molto da quello che adottavo in Spagna o negli Stati Uniti, perché diversi erano e sono i contesti, le motivazioni, le infrastrutture e le richieste che venivano dalla struttura per cui lavoravo. A Stoccolma le mie aule sono ingombre d tavoli: questo mi rende impossibile realizzare attività che a Madrid o ad Ann Arbor risultavano molto semplici da proporre e portare a termine, grazie allo spazio diafano e all’assenza di barriere in classe. È solo un piccolo esempio di come il contesto influisca sulle scelte didattiche.

Com’è insegnare in Svezia? Com’è “stare” in Svezia per un italiano?

Insegnare in Svezia si può declinare in molto modi, dalle scuole primarie alle università. In ogni ambiente le condizioni di lavoro e le sfide sono distinte. Io mi considero un privilegiato: i miei studenti (universitari) sono sempre curiosi e motivati, e in generale piuttosto diligenti. Molti di loro conoscono benissimo l’Italia, tra l’altro. Credo che il modo in cui un italiano può “stare” in Svezia vari moltissimo a seconda delle condizioni di partenza: avere un/a partner locale, ad esempio, rappresenta un vantaggio competitivo di non poco conto. Avere da subito un buon lavoro (cioè un contratto a tempo indeterminato e un buon salario) aiuta ovviamente moltissimo. In generale la Svezia è un paese in cui le cose funzionano bene, giustamente e in modo prevedibile. Non è un paese per metereopatici, però! L’inverno è addirittura più lungo e duro di quanto ci si potrebbe attendere, mentre l’assenza di luce, durante la brutta stagione, può veramente incidere sull’umore. Per finire, la Svezia è un paese privo di “interstizi” e di spazi informali: se si decide di venire a vivere qui, bisogna avere le carte in regola per farlo! Non ci si improvvisa emigranti col sacco a pelo in Svezia, perché il rischio è di venire respinti dal sistema in modo abbastanza brutale.

In generale com’è la situazione dell’insegnamento dell’italiano in Svezia? Dove si studia, e che numeri ci sono, se li sai?

Purtroppo non dispongo di cifre, ma come ho già detto in precedenza, l’italiano in Svezia si studia a diversi livelli del sistema educativo: dalle scuole primarie (come modersmål, “linguamadre”: ai bambini che a casa parlino con almeno uno dei genitori una lingua diversa dallo svedese, sono garantite alcune ore settimanali di insegnamento di quella lingua, ovviamente a titolo gratuito), ai licei, all’educazione permanente per adulti, all’Università. È probabile che dal punto di vista numerico il maggior numero di iscritti ai corsi di italiano si trovi nei licei. La nostra lingua viene comunque dopo molte altre, nelle priorità degli studenti: di solito viene scelta da chi ha già studiato lo spagnolo e vuole guadagnare dei crediti “facili”. Per ciò che concerne l’università, c’è da sottolineare la recente chiusura del dipartimento di italiano all’Università di Göteborg. Il tutto avviene in un quadro che vede ridimensionato l’insegnamento delle lingue straniere “non strategiche” a livello universitario. Il processo è in corso e sta scatenando una forte reazione contraria nel mondo accademico (come potrebbe essere altrimenti, d’altra parte?): vedremo se questa reazione sarà sufficiente a far riflettere il mondo politico sull’utilità dell’insegnamento a livello universitario delle lingue straniere “altre”, rispetto all’inglese.

Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere questo mestiere?

Difficile dare consigli, soprattutto da parte di chi, come me, viene da un percorso assolutamente casuale e poco ordinario. Credo che chi vuole intraprendere questa carriera debba farlo dopo averne soppesato attentamente i pro e i contro: il nostro è un mestiere bellissimo, ma le opportunità di lavoro scarseggiano e – quando ci sono – non sempre garantiscono condizioni contrattuali dignitose. Penso che si debba essere onesti e realisti su questo aspetto non secondario della professione. La via dell’estero è sempre aperta, ma non è così facile trovare occupazione nemmeno oltre frontiera. Insomma, oltre ad avere una grande passione per il nostro mestiere, suggerisco di essere realisti e di non partire all’avventura, ecco.    

E a chi volesse andare in Svezia? Da dove cominciare?

La Svezia è un paese aperto, accogliente e facile se chi intende trasferirvisi ha qualcosa in più da offrire. Se invece si arriva in Svezia senza avere quel qualcosa in più che il mercato del lavoro locale non offre o non offre a sufficienza, be’ allora iniziano i dolori. Si tratta di un percorso a spirale: per poter lavorare è imprescindibile la conoscenza dello svedese, ma per poter imparare lo svedese senza spendere cifre folli in corsi di lingua a pagamento bisogna seguire i corsi gratuiti offerti dalle municipalità; per poter seguire tali corsi bisogna essere residenti; per poter essere residenti bisogna avere un contratto di lavoro di almeno sei mesi, fatto che a sua volta dà accesso al codice fiscale svedese e alla residenza. E si ricomincia, perché senza lo svedese è difficile – se non impossibile – trovare lavoro. Una volta ottenuto il numero personale (il codice fiscale svedese), bisogna completare la propria formazione per poter diventare, in prospettiva, insegnante di italiano a livello liceale: ciò richiede prima di tutto il raggiungimento di un livello di competenza dello svedese che comporta almeno un anno e mezzo di studio intensivo della lingua (sino al raggiungimento del livello SAS 3/svedese come lingua seconda 3); la certificazione SAS 3 consente l’iscrizione ai corsi universitari, compresi quelli di pedagogia che abilitano all’insegnamento. Il percorso può richiedere almeno tre anni, in tutto (un anno e mezzo circa per imparare lo svedese e un anno e mezzo per i corsi di pedagogia all’università che consentono di diventare insegnanti abilitati, ovvero “behöriga”). Bisogna anche sapere che per poter insegnare al liceo un insegnante deve avere almeno due materie, il che significa che all’italiano bisogna aggiungere un’altra disciplina: qui entra in gioco il riconoscimento del proprio percorso di studi, cosa da fare al più presto presso l’autorità competente, una volta arrivati in Svezia (i documenti vanno presentati in inglese). L’autorità svedese che si occupa della valutazione e convalida dei titoli universitari stranieri si chiama “Universitets- och högskolerådet” (UHR): questa è la sua pagina web.
Nel frattempo bisogna anche mantenersi per potersi permettere vizi quali mangiare, bere e pagare un affitto: la spirale si avvita su se stessa. A ciò si deve aggiungere un dettaglio non trascurabile: trovare casa nella regione urbana di Stoccolma non è difficile: è difficilissimo per non dire pressoché impossibile per un outsider! La situazione è migliore in altre regioni, ma sempre complicata nelle grandi aree urbane. Insomma, lavorare in Svezia è un sogno a portata di mano per chi lavora nell’ambito della medicina, dell’ingegneria, della ricerca applicata alle biotecnologie o dell’IT (solo per citare alcuni settori di punta). Non lo è (devo essere sincero e diretto su questo) secondo me per chi volesse insegnare l’italiano. O meglio: lo sforzo richiesto dall’impresa non vale probabilmente la candela!

 

5 pensieri su “Il due chiacchiere con… Franco Pauletto

  1. Franco, io ti credo, è più facile fare altre cose, però tu ce l’hai fatao e questo dimostra che ce la si può fare. Ed è su questo che dovrebbe basarsi l’intervista, per come la vedo io. E non invece basarsi sull’assunto (non so da dove spunta poi questo assunto) che sia facile che non ci sia da fare gavetta e che ce la si faccia sempre e in ogni caso. Io chiedo ispirazione a chi mi potrebbe fare da maestro (perchè è cosi che guarda a te che ti sei realizzato nella mia professione) e non voglio credere ad una verità senza fiducia e speranza. Poi magari mi andrà tutto male, ma questo una persona adulta lo deve sempre mettere in conto e non è un altro che glielo deve ribadire.

  2. Alessandro, ti garantisco che il percorso non è assolutamente facile. Bisogna avere una una ragione davvero molto forte (un/a partner, per esempio) per venire in Svezia con l’obiettivo di fare l’insegnante di italiano. Per altri tipi di professionalità, invece, le porte sono aperte e le opportunità ghiotte. Vorrei poter dire il contrario, ma mentirei se lo facessi.

  3. Strana riflessione da uno che ce l’ha fatta! Ma ci sono una moltitudine di fortunati che insegnano all’estero che dicono la stessa cosa. L’inghilterra è troopo cara la Spagna in crisi, la Francia ha un percorso burocratico trooppo in usa non hai la visa…penso che a parte 3 o 4 insegnanti di italiano all’estero che turnano in diverse località per rilasciare interviste altri italiani che insegnano non ci sono e se ci sono la domenica sera fanno l’elemosina. Meglio restare in Italia! Cosi la possiamo fare anche tutti gli altri giorni della settimana!

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