Insegnare italiano negli U.S. Alcune cose da sapere…e

Credo che il commento di Adalberto Pallanti al mio articolo La crisi americana dal punto di vista dell’ILS, debba giustamente diventare un post.

Lo ringrazio ancora, lo ringraziamo, per la pazienza e la dedizione del suo intervento.

………………………………………………………………………………………………………

Ladylink chiama e Adalberto risponde :)

Cara Caterina,

le tue osservazioni sono interessanti e del tutto condivisibili: in effetti, data la tipologia di studente, non credo Universitalia sarebbe di alcuna utilita’ a livello di college. Le ragioni secondo me sono molte. Mi rifaro’ per forza di cose alla mia personale esperienza, non potendo affermare di conoscere tutti i dipartimenti d’italiano degli Stati Uniti:

a) in genere uno studente americano arriva all’universita’ avendo alle proprie spalle esperienze di apprendimento linguistico piuttosto discontinue, frustranti e poco efficaci: molto probabilmente ha studiato per qualche anno lo spagnolo; in alcuni casi forse il francese o il latino (spesso indicato tra le “lingue straniere” studiate in passato); in rarissimi casi il livello di competenza raggiunto e’ apprezzabile.

b) nell’universita’ per la quale ho lavorato io esiste un “requirement”, ovvero un requisito, di quattro semestri obbligatori di lingua straniera da studiare. Iniziativa lodevole, se non fosse che la maggior parte degli studenti vive tale obbligo con una malcelata insofferenza: arrivano all’universita’ pensando che imparare una lingua straniera sia difficile noioso e inutile, dal momento che parlano gia’ una lingua franca. Il livello di motivazione vola all’altezza del battiscopa. Fargli cambiare atteggiamento e’ impresa complicata, anche se non impossibile. E poi devono studiare tantissimo per un sacco di altri corsi che considerano molto piu’ importanti.

c) materiali; i materiali generalmente adottati sono concettualmente datati e a volte addirittura pieni di errori (essendo spessissimo i loro autori non madrelingua). Ti invito a dare un’occhiata a testi quali “Ciao!” o “Prego!”, che io ho avuto la sfortuna di dover usare cosi’ a lungo: sulla copertina del secondo campeggiano i ritratti di Arlecchino, Pulcinella e Colombina. Gli autori definiscono entusiasticamente tali testi come comunicativi: le unita’ si aprono con la lista delle parole o delle espressioni che lo studente deve (dovrebbe) memorizzare PRIMA della lezione. A seguire, una progressione brutalmente grammaticale accompagna lo studente tra le insidie della lingua italiana. Il tema dell’unita’ serve solo a semplificare il lavoro degli autori: preparare i drills diventa infatti facilissimo (unita’ sul ristorante, paragrafo dedicato ai pronomi diretti di terza persona: “Giovanna ha mangiato le cozze >>> Giovanna ___ ha mangiat__” e cosi’ via).
Chiude il capitolo la famigerata NOTA CULTURALE: poche righe in cui di norma si concentrano ovvieta’ (”Al bar, in Italia, si puo’ bere il caffe’ in piedi”), generalizzazioni imbarazzanti (”I giovani italiani vestono all’americana”) e luoghi comuni. Come se non bastasse, in occasione del quiz gli studenti devono presentare anche il “Laboratory manual”, cioe’ il libro degli esercizi: anche in questo caso tonnellate di inutili drills che lo studente impiega ore a fare o anche solo a copiare (le chiavi degli stessi molto spesso sono disponibili online) e che gli fanno odiare profondamente la tua disciplina.

Iniziative e sperimentazioni come quella in corso nel dipartimento di ladylink (adozione di Espresso e valutazione di altri validi e moderni materiali pubblicati in Italia) sono lodevoli e fanno ben sperare :)

d) i sillabi, in nome di un malinteso concetto di “efficienza”, sono densissimi e spesso modellati sull’indice del libro adottato come manuale: alla fine del primo semestre gli studenti hanno (teoricamente) coperto una parte molto vasta della grammatica italiana, arrivando alla differenza tra passato prossimo e imperfetto, tanto per dire. Chiedi ad uno di loro (alla fine del semestre) di raccontarti che cos’abbia fatto la sera precedente e poi cerca di decifrarne la risposta, in mezzo agli “uhm”, “eeeheee” e a gorgoglii di varia natura. Si badi bene, la colpa secondo me non e’ dell’apprendente: gli studenti americani sono curiosi, attivi, brillanti e capaci quanto i propri coetanei europei. E mediamente molto ambiziosi.

e) logistica; le lezioni sono brevi (50 minuti) e di norma si svolgono tre o quattro volte alla settimana. “Chi si ferma e’ perduto”: non ci si puo’ permettere di trastullarsi in inutili attivita’ “time consuming” (espressione che uso’ la mia coordinatrice per definire un’attivita’ di lettura autentica che mi aveva portato via ben 22 minuti), bisogna seguire il programma al millisecondo. Non sei riuscito a “far praticare” (si’, perche’ in classe ti viene detto che non si fa grammatica: si deve far praticare comunicativamente la lingua, pezzettino per pezzettino…) gli articoli determinativi? Te li ritrovi sul groppone il giorno dopo, insieme a una vagonata di altre cose.

f) progressione; la progressione del sillabo non consente di ritornare “a spirale” su quanto affrontato in precedenza: gli studenti devono memorizzare continuamente nuove nozioni in vista delle periodiche prove di valutazione. Altro che spirale: bisogna schizzare sempre in avanti come missili nucleari.
Dopo due anni i tuoi studenti non sanno ancora usare il presente dell’indicativo (mentre magari il sillabo prevede che si studino la concordanza dei tempi al congiuntivo e tutte le subordinate implicite ed esplicite, eccezioni comprese)? E’ colpa loro: viene suggerito di massacrarli di “pop quiz” (brevi quiz mirati che non vengono preannunciati ai malcapitati) “cosi’ imparano”, “cosi’ studiano”, “cosi’ la prossima volta…”.

g) prodotto e non processo: la valutazione in itinere sulla carta e’ un’ottima cosa; quando pero’ sottoponi i tuoi apprendenti a cinque quiz, un esame di meta’ semestre e un esame finale nell’arco di un semestre (che alla fine dura tre mesi) e’ evidente che l’obiettivo diventa valutare e selezionare gli studenti e non certo fargli apprendere ed usare una nuova lingua. L’insegnante diventa una sorta di “coach”: ogni lezione serve a preparare gli studenti all’ineluttabile, il Quiz.

h) competenze: per quanto concerne i dipartimenti d’italiano che ho avuto finora la ventura di conoscere da vicino, ho purtroppo notato una certa mancanza di competenza e di formazione da parte del personale preposto al coordinamento dei corsi: si tratta sovente di persone che raramente (per la mia personale esperienza direi mai) hanno ricevuto una formazione specifica in didattica dell’italiano come LS/L2. Non conoscono i materiali pubblicati in Italia, non fanno formazione da secoli, non incitano il lettore a proseguire nella propria formazione, tutt’altro. La sperimentazione diventa una perdita di tempo e va a scapito dell’efficienza, il sistema va bene cosi’ “perche’ si fa cosi’ in tutti gli Stati Uniti, da sempre, amen”.

i) classismo; i dipartimenti di lingue sono generalmente scissi e stratificati: in alto chi si occupa della “cultura” (i “professors” che tengono corsi di letteratura, storia o cinema sia a livello “undegraduate” che “graduate”), in basso i paria (leggasi “lettori”) che fanno il lavoro sporco e ovviamente facilissimo di insegnare la lingua (”E che ci vuole? Non e’ mica Deleuze!”). I secondi molto spesso lavorano con contratti a termine e alcuni devono fare piu’ di un lavoro per arrivare alla fine del mese. La comunicazione tra le due caste e’ cortese ma scarsissima.

l) Dimenticavo di dire che l’incompetenza interessa in molti casi anche l’aspetto docimologico: in altre parole, la valutazione. I nostri quiz, tanto per fare un esempio iniziavano con un esercizio di comprensione auditiva: tre domande orali (ripetute tre volte) alle quali gli studenti dovevano rispondere per iscritto (!!!). Nel valutare le risposte non si teneva conto solo della pertinenza delle stesse, ma anche della loro correttezza formale: ortografia -0,25, verbo coniugato male -0,50, tempo verbale sbagliato -0,50 (i verbi in particolare erano la bestia nera delle coordinatrici) ecc. ecc., contravvenendo al principio che suggerisce di testare una cosa alla volta: chiedo al mio studente di capire e di rispondere coerentemente o gli chiedo di capire, di saper scrivere correttamente in un tempo molto ridotto e magari di cantarmi allo stesso tempo anche un’aria verdiana in punta di piedi con un dito sulla testa, possibilmente a occhi chiusi?
In questo sistema la valutazione e’ si’ centrale, ma in molti casi e’ anche piuttosto arbitraria, per i motivi accennati all’inizio: non sempre le persone che se ne occupano hanno una formazione sufficiente. Ecco perche’ gli studenti americani alla fine diventano dei bravi esecutori di test che non sanno parlare la lingua bersaglio.

Uff, mi sono dilungato “un momentino”. Mi fermo qui, ribadendo che questo e’ solo il mio punto di vista, maturato dopo un’esperienza significativa, ma in fondo limitata, negli Stati Uniti. La situazione del dipartimento di ladylink, come ho gia’ avuto modo di dire, sembra diversa e migliore: evidentemente li’ le competenze non mancano e nemmeno la voglia di sperimentare e, appunto, di migliorare. Temo che purtroppo non rappresenti la norma, ma posso sbagliarmi.

Sugli studenti ci sarebbe molto da dire. Personalmente trovo che siano stati la parte migliore della mia esperienza: simpatici, rispettosi, generalmente educati e pronti a raccogliere le sfide, se debitamente motivati.

Non so se ho risposto alle tue sollecitazioni. Spero tu possa trovare qualche spunto interessante per le tue lezioni… nel caso abbia dimenticato qualcosa di importante, chiedi!

Adalberto

12 pensieri su “Insegnare italiano negli U.S. Alcune cose da sapere…e

  1. Salve,
    volevo avere un ‘informazione… come si fa ad insegnare Italiano negli USA?non riesco a trovare info … grazie

  2. Salve…sono una docente abilitata, iscritta nelle GaE. Insegno Lettere alle superiori da 11 anni. Vorrei, come Nicola ( e nonostante abbia 40 anni e due figli piccoli,), insegnare italiano o latino negli U.S. Preferibilmente latino.
    Qualcuno potrebbe consigliarmi? Grazie!!!

  3. … 🙁 perdonatemi per gli errori, ho scritto in fretta e inoltre ho la tastiera del pc rotta.
    Saluti!

  4. Salve a tutti!
     
    Sono un insegnante ancora privo di abilitazione, quindi precario di III fascia, attualmente in servizio in una scuola del nord-Italia.
    Scerivo per capire meglio cosa occorre in vista dell’insegnamento della lingua italiana negli USA
    (magari anche del latino e/o del greco… so che vanno matti per il latino!); non so se mi potete, internet è una selva di informazioni
    e ne esco sempre più confuso; in particolare, se possibile, vorrei finalmente capire se bisogna far tradurre da un traduttore titolato
    i miei titoli di studio (o posso farlo anche io da solo?); e le lettere di presentazione? Occorrono anch’esse?
    Infine, il lavoro eventuale che svolgerò negli USA mi sarà riconosciuto in Italia? In tal senso sono pessimista in quanto non
    sono di ruolo né, come le dicevo, abilitato.
    Riguardo la lingua ho soltanto un certificato di livello intermedio riconosciuto dalla Camera di Commercio di Londra (LCCI) e non
    so se gli USA accetteranno tale certificazione. In sintesi: quali sono i passi essenziali e fondamentali da fare per poter insegnare negli USA?
    Spero che qualcuno di voi mi darà qualche buon consiglio.
     

     
    Cordiali saluti,
    Nicola Zona

  5. Carissimi…

    che i ragazzi americani siano così profondi..lasciatemelo dire, ho i miei dubbi!!E non lo dico per un pregiudizio. Subiscono una fortissima pressione, devono sempre essere i migliori e avere il sorriso, spesso ti dicono BEAUTIFUL davanti a qualsiasi stupidata gli si propongo. Io li ho trovati..dei bambinoni, acritici spesso (perchè appunto non abituati a farlo), non ti salutano quando entri in classe e glielo devi insegnare (assurdo!il saluto è alla base della buona educazione). Insomma, si possono dire tante cose belle dei ragazzi americani e dell’america ma…la PROFONDITA’, e no! Questa è una categoria che proprio non gli appartiene

  6. Ciao a tutti,

    anche io mi trovo nella vostra condizione, cioè vorrei insegnare italiano all’estero dopo quattro anni di insegnamento nella scuola italiana.
    voi avete scoperto come muovervi?
    se sì mi piacerebbe condividere la vostra esperienza e avere consigli e informazioni.
    grazie mille
    laura

    malaura13@cheapnet.it

  7. Ciao, insegno italiano a stranieri in una scuola privata di Roma, ormai da quasi un anno. Mi piacerebbe andare ad insegnare negli Stati Uniti, ma non so bene come muovermi. Se qualcuno avesse dei suggerimenti da darmi, gliene sarei molto grata. Questo è il mio indirizzo: lafleurbleue77@yahoo.it

  8. Ciao!
    Vorrei chiederti qualche consiglio in merito ad un’eventuale esperienza d’insegnamento di materie umanistiche in USA.
    Ho 25 anni e sono laureanda magistrale in Filologia Medievale presso l’Università di Pisa. Sarei interessata ad un’esperienza d’insegnamento di latino e italiano presso una scuola americana.
    A quali enti mi devo rivolgere? Come fare per il permesso di soggiorno? Serve qualcuno che mi “raccomandi”?
    Invece, per quanto riguarda l’insegnamento delle suddette materie all’Università? Come fare per diventare “lettori”?
    Ti ringrazio anticipatamente.
    Elena.

  9. mi sto laurendo alla statale di Milano in lettere moderne e vorrei tanto ins italiano letteratura in USA come procedere? voi k avete esperienza avete suggerimenti per me? sarà possibile?

  10. Ciao Caterina, e’ stato un piacere. E comunque il mio e’ un punto di vista molto soggettivo: forse la situazione e’ piu’ differenziata di quanto emerga dal mio post, ma non ne ho le prove. L’impressione, come dicevo, e’ che funzioni cosi’ in molti dipartimenti.
    L’importante e’ motivare gli studenti e fargli capire che se dedicano 25 minuti ad un ascolto (per esempio) non stanno “wasting their time”, anzi! Le vere perdite di tempo sono molte delle attivita’ presenti nei corsi d’italiano che i tapini hanno seguito al college (a caro prezzo), negli Stati Uniti.
    Buon lavoro!
    Adalberto

  11. Caro adalberto,
    innanzitutto ti ringrazio per l’esauriente risposta e ringrazio anche ladylink per averne fatto un post vero e proprio.
    I tuoi chiarimenti sul sistema scolastico statunitense mi hanno fatto capire alcune cose importanti… che dovrò mettere a frutto per ottenere risultati migliori dai miei studenti nel prossimo corso.
    Sono assolutamente d’accordo sulla chiosa: i ragazzi americani sono sempre rispettosi, curiosi e attenti e spesso profondi.
    Una caratteristica che mi stupisce sempre nel loro approccio per gli effetti che produce è quella di non avere timori reverenziali.
    Continuerò a proporre loro attività basate sulla comunicazione reale, sperando che alla fine, qualche ‘lampadina’ si accenda.
    Grazie ancora e buon lavoro.
    Caterina

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.