La cultura in classe

Prendendo spunto (e parti di testo) dall’interessantissimo saggio di Paola Celentin e Graziano Serragiotto dal titolo Didattica Dell’italiano In Prospettiva Interculturale, ecco alcune riflessioni su come trattare la cultura nella classe di lingua.

Secondo la prospettiva pragmatico-culturale di Jerome Bruner (La cultura dell’educazione, 1997), apprendere una lingua significa anche apprendere i modelli culturali collegati alla lingua in oggetto. Ognuno di noi infatti, per interagire efficacemente ed essere parte integrante di un sistema sociale, deve possedere non solo una buona padronanza linguistica ma anche una buona competenza socio-culturale della cultura di appartenenza. Secondo Bruner la cultura si interiorizza nella mente dell’uomo sotto forma di regole mentali che svolgono un ruolo di guida nell’interazione uomo-ambiente. Queste regole mentali sono a loro volta condivise e seguite dai membri di una determinata società. La comunicazione dunque può avvenire perché fra i membri di una stessa comunità esistono aspettative linguistico-culturali reciproche (nel senso che ogni membro della comunità si aspetta delle precise risposte all’interno di un determinato contesto sociale).

Quello che viene spesso trattato in classe è invece un aspetto della cultura, che è lo stereotipo. Spesso usando materiali considerati carini e divertenti. La formazione di stereotipi è una modalità di pensiero che permette di organizzare informazioni la cui complessità potrebbe portare al caos percettivo e conoscitivo. Possiamo considerare cioè gli stereotipi come dei meccanismi di difesa che l’essere umano attiva per organizzare l’immagine dell’altro in categorie di pensiero ordinate e chiare. L’essere umano infatti ha bisogno di dare ordine al caos, costruendosi delle rappresentazioni mentali e sociali che svolgano poi un ruolo guida nell’interpretazione della realtà; poter incasellare lo straniero, mai conosciuto, all’interno di una categoria generale di riferimento tranquillizza ogni persona.

Attenzione però, perché gli stereotipi e poi i pregiudizi possono rappresentare una prima forma di razzismo, che possono a loro volta trasformarsi in discriminazione, segregazione e violenza nei confronti dello straniero, che viene disegnato come qualcosa di diverso da noi, autore di comportamenti in cui non ci riconosciamo. Comportamenti “altri”, potenzialmente pericolosi.
Ne deriva che se vogliamo portare in classe lo stereotipo, va esplicitato che si tratta di un punto di partenza, una visione da falsificare. Mi pare che vadano in questa direzione le mappe dell’Atlante dei pregiudizi di un blogger bulgaro, Yanko Tsvetkov, che ben si prestano a far partire discussioni sulle caratteristiche culturali di un popolo / Paese.

La posizione opposta allo stereotipo è quella del Relativismo culturale, concetto definito da Giovanni Freddi, per il quale ogni modello è il migliore per quella cultura. Ogni cultura è l’espressione di un popolo, e non esiste una cultura migliore di un’altra. Ecco le sue parole, tratte da Didattica delle lingue moderne (1979).

I processi di socializzazione e di culturizzazione (o, come esito ultimo, di civilizzazione) costituiscono gli aspetti più visibili dell’itinerario formativo. L’incontro con la lingua-civiltà straniera allarga l’area dei rapporti sociali dell’allievo, mettendolo in contatto con popoli che “pensano il mondo in modo diverso”. Ciò gli consente di penetrare il significato delle culture altrui, di superare le visioni etnocentriche ed autarchiche della cultura e della vita, in breve di conseguire quella coscienza del relativismo culturale che oggi, più che mai, va considerata un valore da perseguire.

Non è da ritenere che questa nuova dimensione si dilati in misura direttamente proporzionale al numero delle lingue-civiltà straniere accostate: perché l’etnocentrismo entri in crisi lasciando posto al relativismo culturale cui si è accennato è sufficiente accostarsi anche ad una sola lingua-civiltà straniera, a condizione tuttavia che l’incontro non sia vanificato da formalismi didattici di tipo grammaticalistico. Se tale vanificazione non avviene, nell’allievo maturano sentimenti d tolleranza, desiderio di liberarsi dagli stereotipi, disponibilità al dialogo e alla collaborazione con tutti i popoli.

All’espressione lingua-civiltà straniera noi assegniamo dunque un valore inclusivo che comprende l’accostamento alla “cultura”, quale veicolo di significato, e un’apertura ideologica – pertanto selettiva – a quei modelli culturali del popolo straniero che ci sembrano suscettibili di soddisfare le esigenze di un’educazione integrale della persona umana.

2 pensieri su “La cultura in classe

  1. In ambito di formazione interculturale attraverso la didattica non formale, uno dei metodi più efficaci per “distruggere” gli stereotipi, è la visualizzazione degli stessi in un disegno (di solito un grande cartellone cartaceo, realizzato dagli apprendenti) di un iceberg che simboleggia la “cultura”. La parte che noi vediamo dell’iceberg, quella che esce dall’acqua, è la cultura che tutti noi abbiamo sotto gli occhi: ciò che si vede è solo la punta dell’iceberg. Se andiamo a cercare sotto la punta, scopriamo un livello più profondo e molto più ampio che scende fino alla base dell’iceberg. La scoperta della parte nascosta dell’iceberg avviene in maniera graduale: può durare settimane o mesi. È un percorso di scoperta (esperenziale) che l’apprendente, a contatto con una nuova cultura, può fare durante il suo soggiorno nel paese ospitante, per questo potrebbe durare anche per tutta la vita.

  2. Nell’insegnamento di qualunque disciplina -e quindi delle lingue straniere- si dovrebbero fornire agli alunni testi tratti da fonti ben diverse e con punti di vista variegati affinché ogni discente tiri fuori le proprie conclusioni da condividere e e da discutere poi in classe.
    L’insegnante dovrebbe fornire, mediare, ricondurre, talvolta chiarire… Ma i veri analisti degli argomenti linguistico-culturali dovrebbero essere gli studenti.

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