C’era una volta: tra terza e quarta settimana di lavoro

EXPECTANCY GRAMMAR: CREDENZE ED ASPETTATIVE DEL PROFESSORE DI ITALIANO PER STRANIERI

Tra la terza e la quarta settimana di lavoro in quel di Izmir c’è una domanda che mi assilla e che stasera ha deciso di non mandarmi a dormire: ma noi convinti sostenitori della expectancy grammar, ma che aspettative abbiamo nei confronti dei nostri studenti e nei confronti di ciò che gli propiniamo convinti in tutto e per tutto che sia la cosa migliore per loro e da fare in classe con loro?
In questa università  , in questa ridente città   bagnata dall’Egeo, sto mettendo a dura prova tutte le “credenze” ed esperienze che ho nell’ambito della didattica dell’italiano a stranieri.
Rispettare il programma settimanale alla fine non è difficilissimo. E’ molto più difficile avere il coraggio di proporre tutto quel materiale e di dover “torturare” gli studenti con una serie di esercizi che anche con la più bella presentazione, rimangono mera applicazione delle regole grammaticali.
In realtà  , proprio in virtù delle mie “credenze” e delle mie esperienze, ho cercato di indirizzare gli studenti verso quel “come” proporre determinati argomenti e quel “come” arrivare a capire determinati funzionamenti della grammatica italiana in cui credo. Non che i risultati non siano soddisfacenti, anzi. Nel testo con cui abbiamo presentato l’imperfetto indicativo erano presenti 3 persone del verbo essere: ero, era ed erano. Abbiamo lavorato alla lavagna. Ho semplicemente scritto i pronomi personali e ho chiesto loro di cercare le 3 persone del verbo “essere” presenti nel testo. Quindi gli ho fatto notare le vocali della prima e terza persona e di intuire la seconda. Non sono stati necessari vari tentativi, perché quasi tutta la classe ha risposto coralmente con un ERI, ed erano veramente entusiasti di questo successo. Li ho un po’ ingannati per la I persona plurale, perché chiaramente la risposta è stata ERAMO, ma dopo aveci scherzato un po’, gli ho detto che c’erano due lettere in più, “VA”, che in realtà   sono proprio quelle tipiche di questo tempo verbale. Coniugare il verbo AVERE quindi è stata una passeggiata ed io ho ripetuto questo ragionamento con entrambi i 301, i terzi livelli.

Con i 201, i secondi livelli, le mie perplessità   aumentano soprattutto per la diversità   delle classi. In particolare quella del lunedì e del martedì, dalle 1530 alle 1720, ha la capacità   di lasciarmi ogni volta di stucco. E’ l’unico secondo livello che mi ha espressamente chiesto di parlare in inglese. Il problema non è quello di dover spiegare la grammatica italiana in inglese, perché non credo che una spiegazione grammaticale in inglese sia di impedimento al processo metacognitivo o tolga allo studente quella minima possibilità   di ascoltare un nativo parlare. Non è proprio così e sono arrivata a questa conclusione dopo lunghe riflessioni, non solo tra me e me. Gli ho comunque chiesto in cambio uno sforzo, e cioè di sforzarsi di capire il più possibile quando parlo in italiano perché la lingua inglese come lingua veicolare ho paura che diventi poi una scusa per ottenre velocemente quello che produrre in italiano costerebbe sforzi notevoli. L’inglese come lingua per la spiegazione grammaticale comunque facilita anche a me la spiegazione di alguni concetti, come quello della differenza tra “sapere” e “potere”: “to be able” e “can”, ma spesso usare l’inglese come tramite aiuta lo studente che ha la possibilità   di associare le nuove regole della lingua italiana a quelle della grammatica inglese, visto che la lingua turca funziona in modo notoriamente diverso (per non dire opposto). E’ qui infatti che la grammatica contrastiva diventa un punto di forza e il pericolo di transfert negativo è trascurabile (mi assumo le responsabilità   dell’affermazione).

Ma non è di questo che volevo trattare.
Sono le aspettative frustrate, quelle che non mi permettono di spegnere il computer stasera.
In questo gruppo delle 1530 ho proposto per due giorni consecutivi due attività   ludiche, perché volevo intanto vedere come poteva essere la loro reazione e soprattutto non avevo voglia di introdurre un argomento come quello dei pronomi diretti, visto che ci sarà   una settimana di pausa e sappiamo come rientrano gli studenti dalle vacanze.
Quindi mi sono presa 4 ore di tempo per recuperare un argomento che non ero riuscita a trattare e per impostare una sorta di ripasso-pratica.
Lunedì ho proposto un’attività   forse non ben calibrata visto l’impatto della stessa sugli studenti. L’idea era quella di farli lavorare con i verbi modali. Ho scritto su dei fogli degli eventuali problemi di ragazzi di 20 anni, come loro. I problemi prima li ho scritti alla lavagna in modo che potessero leggerli e tentare di dare almeno un consiglio per problema. Per esempio: “ai miei non piacciono i miei amici”, “mi piace un/una ragazzo/a che non conosco”. Dopo aver ottenuto da loro una frase con un modale per ogni argomento circa, ho chiamato i ragazzi alla cattedra e gli ho appeso il foglio con la frase alle spalle: dovevano leggere i problemi degli altri e dare consigli usando i modali + infinito. Ognuno doveva indovinare qual era il problema scritto alle proprie spalle. C’è stato molto entusiasmo e partecipazione, ma ignoro quello che si siano detti, visto che urla turche si alternavano a flebili verbi o parole di un italiano verosimile. Ma si sono lasciati prendere e hanno voluto attaccare anche a me una frase, indovinate un po’ “non capisco bene le lezioni di italiano” e mi hanno anche dato consigli! Il feedback di questa attività   è stato minimo, bassissimo, ma almeno li ho visti muoversi, animarsi ed in realtà   anche fare forse troppa confusione rispetto al minimo di pratica in L2. Forse non erano abituati, forse non erano abbastanza motivati, forse erano anche annoiati perché hanno visto la cosa come una perdita di tempo, ma ho sentito che un minimo stava funzionando. Ci sono state solo due ragazze (in un gruppo di circa 14 studenti presenti) che erano contrariate. Una mi ha anche detto: “But why? It’s boring”.
Certo tutto mi sarei aspettata tranne che “noioso”. Ma sono andata avanti come un treno, facendola alzare e muoversi come già   stavano facendo gli altri.

Il giorno dopo prendo un’attività   da RICETTE PER PARLARE (Alma Edizioni): “Pigro o attivo?” Rivediamo gli avverbi di tempo e la coniugazione di un irregolare “salire” e un verbo riflessivo. I ragazzi lavorano, chi più e chi meno. Chi bene e chi meglio. Chi non mi ascolta e non svolge il compito oralmente e chi si sbriga o si racconta i fatti propri. Fatto sta che i ritmi come al solito sono diversi e mentre cerco di dare un minimo di tempo in più ad alcuni, perdo per strada gli altri. Allora decido di darci un taglio e di sentire cosa mi sanno dire della “conversazione” avuta con il compagno. Chiedo di riportare alla classe due azioni e mi accorgo che chi diceva di aver lavorato e di aver finito il lavoro non solo non sapeva trovare un’informazione sul compagno con il quale continuava a confabulare in L1, ma non riusciva nemmeno a coniugare il verbo più semplice… non parliamo poi dei verbi riflessivi o di “andare”.
Lì allora non ci ho visto più. In inglese ho esposto tutte quelle che erano le mie ragioni: “Se facciamo la grammatica non va bene perché siete stanchi e vi stancate ancora di più. Facciamo un’attività   diversa e non seguite le mie istruzioni. Mi dite di aver finito l’esercizio e scopro che non sapete come coniugare i verbi. Ma cosa c’è che non va?”.
Già  , cosa c’è che non va?
Ho riversato su di loro le colpe di un’attività   che non ha dato dei risultati soddisfacenti. Sono da giustificare gli studenti perché forse non sono abituati a fare cose del genere in una lezione di lingua straniera?
Sono giustificata io perché comunque ho fatto ciò in cui credevo e come io credevo?
In realtà   non solo non riesco proprio a giustificarmi ma non riesco nemmeno a capire perché la reazione della classe ad un’attività   diversa e che pensavo gradevole e meno stancante, sia stata quella di portarla avanti con molta insofferenza.
Essendo il nostro lavoro, è chiaramente frustrante raccogliere zero quando si hanno aspettative alte soprattutto perché l’attività   “Pigro o Attivo” è quanto di più classico e di più ripetuto nelle classi dei primi livelli.

Spesso basta uno sguardo demotivato di uno studente per togliermi la grinta che porto sempre in classe insieme ai libri, fotocopie, pennarelli e quant’altro… e lo sguardo demotivato di mezza classe può veramente togliere l’entusiamo…
Meno male che domani è un altra…lezione!

p.s. in questa famosa classe delle 1530 c’è SaygIn, un ripetente che rispetto agli altri sa già   le regole ma segue senza annoiarsi e disturbare, anzi, mi stupisce ad ogni lezione. SaygIn lunedì ha seguito l’attività   sui verbi modali seduto su un banco ma comunque sorridente. La prima settimana di corso ha ammesso di odiare i compiti per casa e ho trovato la sua esclamazione insopportabile e lo scrissi nel post. La settimana dopo ha fatto in classe i compiti per casa e voleva consegnarmeli, perché sicuramente, a detta sua, se li sarebbe dimenticati, e così è stato: la settimana dopo li aveva dimenticati e mi ha replicato: lo avevo detto, io! Martedì invece i compiti li aveva fatti e li aveva con sé e me li ha mostrati orgoglioso.
Ecco, il racconto dell’evoluzione di SaygIn è la degna conclusione di questo post, che quindi ha un finale positivo a sorpresa anche per me. Tutti i miei sforzi allora non sono vani, se SaygIn ha acquisito un po’ più di responsabilità   ed interesse verso una materia di studio.

Questo non vuol dire che la mia mente non continui ad arrovellarsi.

Adesso, però, mi aspetta Morfeo!

6 pensieri su “C’era una volta: tra terza e quarta settimana di lavoro

  1. Ciao Ladylink,
    scusa se faccio un commento solo adesso, ma non avevo letto l’articolo e vorrei inserirmi anch’io nel dibattito.
    La mia prima impressione è che quello che ci vorrebbe è innanzitutto un po’ di sicurezza in quello che fai.
    Te lo dico perchè mi sembra che sia un po’ mancante sia dal punto di vista delle convinzioni didattiche, che da quello dell’utilità delle attività proposte.
    Per esempio, parlando di expectancy grammar, visto che questa capacità di colmatura si manifesta e si sviluppa in presenza di un vuoto d’informazione, poprio l’aver scelto di dare le istruzione in inglese elimina uno dei momenti preziosi (e direi insostituibili) per permettere ai tuoi studenti di “crescere”.
    Sicuramente è mooooolto difficile dare le istruzioni a studenti principianti ed è molto più facile darle in inglese, ma questo ti dovrebbe portare ad optare per la seconda possibilità solo nel caso in cui tu sapessi che la cosa più semplice è anche la cosa più utile: è così?
    Io credo di no, tanto più che, se ho ben interpretato il tipo di scuola, non ti è dato molto spazio per organizzare delle interazioni tra studenti, degli ascolti, delle letture, tutte attività in cui si crea un vuoto d’informazione e si stimolano le aspettative degli studenti.
    Un’altra cosa che mi ha colpita è stata la descrizione del gioco e della successiva attvità proposta sia al terzo, sia al secondo livello: i giochi servono a fissare le regole, ma per essere efficaci devono funzionare come tutti i giochi del mondo. Con delle regole. E se le regole non si seguono non c’è gioco e non c’è risultato: non si può far passere l’idea che il gioco serva a divertirsi né quella che, anche se tu dici cosa si deve fare, se io non ne ho voglia, non mi “disturbi” a patto che io faccia “qualcosa”. Vale la pena spendere qualche minuto in più per chiarire questo, rompere le scatole (anche in maniera decisa) a chi non segue le istruzioni, piuttosto che vedere poi gli studenti fare ognuno a proprio modo: questo rende davvero il gioco poco utile e sminuisce il tuo valore agli occhi di quelli che notano solo la confusione.
    Per finire, un piccolo appunto sulle spiegazioni: capisco l’apprensione per l’osservatore in classe, ma se non inizi a proporre non cambierà nè l’idea dell’osservatore (che pensa che senza la lavagna non si impari) e neanche quella dei tuoi studenti (che non pensano con la loro testa…e perchè dovrebbero farlo in altre occasioni?): che ne dici di organizzare un’attività strutturata a passi successivi, in cui i ragazzi hanno come punto di arrivo riempire una griglia che sistematizzi, che so io, i pronomi, attraverso l’osservazione guidata e gli scambi? Forse il tuo osservatore vedrebbe che la classe ha lavorato bene e ti concederebbe più libertà.
    In fondo tutti gli osservatori sono contenti se gli studenti lo sono a loro volta e se hanno dei buoni risultati.
    Ma se non ci credi è tutto abbastanza inutile.
    Per finire: gli studenti non si divertono.
    Be’, se le lezioni sono invase da queste lavagne piene…!!!
    Ma anche: gli studenti sono lì per imparare non per divertirsi: il fatto che tu voglia che lo facciano in modo piacevole, non significa fargli pensare che siano in diritto di lamentarsi perchè non è divertente. Su questo io sarei molto dura.
    Spero di averti invogliata a osare di più…
    Kappa

  2. è vero l’unica maiuscola l’ho usata solo per un nome proprio e mai dopo un punto…
    perché che problema c’è ad usare solo le minuscole??
    oh! nel post mi sono prodigata, però, eh!….
    intanto chiedi al tuo terapeuta cosa potrebbe portarmi ad usare solo le minuscole, o nn ti fidi abbastanza del tuo terapeuta???
    hi hi hi

  3. beh, spero che anche qualcun altro dica la sua. Il tutto NON è assolutamente privo di interesse! Ma dopo la tua replica ho più chiari molti aspetti.
    Adesso non ho il tempo di risponderti. Lo farò. Lasciami notare comunque la tua idiosincrasia per la lettera maiuscola… chissà cosa direbbe un buon terapeuta…

  4. confesso di non aver riletto il mio post, però ti replico lo stesso

    prima di tutto il titolo… l’expectancy grammar c’entra nel senso che non riesco o meglio posso proporre nulla che la metta in atto, che la stimoli, perché il tipo di materiale che devo usare in classe prevede, nella maggior parte dei casi, un approccio diverso… l’insegnante facilitatore è un concetto lontano anni luce… e comunque questo materiale che porto in classe è già molto più “all’avanguardia” rispetto a quello che abbiamo tolto, cambiato, rispetto all’a.a. precedente.

    circa l’uso dela lingua inglese: cosa non ti convince? se far capire molto aggettivo e avverbio significa ricorrere a many e very, perché non dovrei farlo? visto che in turco molto è invariabile e gli aggettivi non si declinano?
    una ragazza di quella stessa classe mi ha detto che si annoiano quando non capiscono (…perché invece quando capiscono…. aggiungo io!), allora proviamo a vedere come va con la spiegazione in inglese… non che aver capito l’uso di molto sia così divertente, cioè le mie aspettative sarebbero più di farli divertire capendoci qualcosa (o capire divertendosi, non stiamo a fossilizzarci su questo), ma siccome il divertimento non è comunque assicurato, che almeno l’uso di molto sia chiaro (oltretutto è un argomento di ripasso, l’ho scoperto sta settimana, pensa un po’, quindi sono ancora più perplessa).
    allora ecco che abbino una frase in inglese e una in italiano, cioè la stessa frase in due lingue. anche le istruzioni per gli esercizi cerco di darle in italiano mimando, mostrando bene, scandendo le parole ma non sempre funziona, e me ne accorgo passando tra i banchi, perché fanno l’esercizio sbagliato ecc ecc, quindi la lingua veicolare continuo ad usarla nella speranza che col passare delle settimane le istruzioni o le parole chiave siano ben capite, magari riscrivendole spesso alla lavagna
    c’è da dire che durante il primo anno, c’è un’alta probabilità che abbian avuto un’insegnate turco che gli abbia parlato solo in turco e quindi le loro difficoltà devono essere prese in considerazione…
    credo poi che le nostre credenze, il nostro stile, debba adattarsi alla classe e alla situazione, posso anche essere abituata a lavorare in un certo modo, che è il più moderno, il più alla moda e sperimentato che ne so, ma se non è proponibile da subito, cerco prima di tutto di adattarmi io e poi mi rimbocco le maniche….
    tutto questo non per continuare radicata nelle mie idee, anzi, ma magari mi interesserebbe capire cosa meno ti convince nello specifico e magari ricevere qualche consiglio spassionato, perché occasioni di confronto ve ne sono ben poche…

    cmq tornando a noi: non adotto l’inglese nelle altre classi perché non me lo hanno chiesto e perché riescono a capirmi o riesco io a farmi capire (bah!), certo è che comunque rimane una lingua d’appoggio perché non tutti sono in grado di seguirmi, ma cerco di spingere verso l’uso esclusivo dell’italiano… ma non è facile, soprattutto per loro….

    circa il problema che sarebbe “spiegare”: sono d’accordo con te… ma io adesso devo spiegare, sono ritornata ad essere il fulcro di una buona parte della lezione, e scrivo anche alla lavagna che sta su una sorta di palchetto, di piano rialzato… anzi devo proprio scrivere, mi è stato consigliato, perché c’è Ian, che ci viene ad osservare una mezzoretta a sorpresa, gradisce che si scrive alla lavagna…la mia coordinatrice ha visto la mia lavagna tutta tempestata di scritte e mi ha fatto i complimenti…. le o detto che comunque non ero abituata a scrivere perché ecc ecc ma mi ha appunto detto di Ian, allora spero che Ian non dovendomi dare consigli sullo scrivere alla lavagna, magari mi sappia dire altro…. circa come lavoro ecc ecc ma ho già apito che Ian si preoccupa soprattutto dell’interazione e della gestione della classe e di ventuali conflitti…. e d’altronde nn può fare altrimenti, visto che assiste a 30 minuti di lezione su 20 settimanali che ho in classe…. ma dimmi tu!

    ritornando alla lavagna e ai pennarelli: con tutto ciò sono parzialmente d’accordo, nel senso che le difficoltà che ho con la lingua turca, mi portano ad annotare qualsiasi cosa… quindi l’uso della lavagna come fissaggio mi conforta in quanto studentessa di turco

    detto questo… speriamo che ti faccia risentire….
    torno al .pps su pompei che userò per introdurre i pronomi diretti col secondo anno

    buona domenica!

  5. non ci vedo nulla di polemico ed il titolo era fatto apposta….

    forse sono riuscita a creare l’effetto che volevo, ma forse non abbastanza… o non bene, visto quello che ho scritto

    i miei futuri commenti dove li scrivo in questo post o nel successivo?
    torno più tardi… rileggere quello che ho scritto… è cosa lunga!

  6. E’ curioso, leggendo il titolo mi aspettavo tutt’altro articolo. In sostanza parli di grammatica, e tuttavia con il concetto di Expectancy grammar la “grammatica” c’entra ben poco. Con questa definizione Oller intende la capacità di ipotizzare quello che verrà detto o scritto in un dato contesto. Peraltro lo stesso Oller aggiungeva sempre un altro aggettivo: “pragmatic”: cioè la capacità innata di inferenza: “in base a quello che ho capito, quello che non ho capito dovrebbe essere così e così…”.
    Data questa premessa, di tutta la tua bella descrizione c’è un punto che mi rimane ostico: “E’ l’unico secondo livello che mi ha espressamente chiesto di parlare in inglese”… e tu… l’hai fatto. Le ragioni che aggiungi non mi convincono. Sono ragioni a posteriori e se veramente le trovi valide perché non adotti questa strategia con tutte le classi?
    Quanto al problema “noia” mi viene spontaneo parafrasare una conseguenza di un tuo ragionamento:
    “Il problema non è quello di dover spiegare la grammatica italiana in inglese”… il problema è “spiegare”.
    Beh, con la polemica ho finito.
    E comunque non mollare!

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