No al suicidio dell’italiano

Segnalato da Carolina:

di Magdi Allam

Aiuto, stiamo «suicidando» la lingua italiana! Dalla pubblica amministrazione alla scuola, dalla sanità   alla giustizia, dalla religione alla sicurezza, dal lavoro alla pubblicità  , ci affanniamo a persuadere le menti e a conquistare gli animi degli immigrati comunicando con decine di idiomi diversi, mobilitando un esercito di mediatori linguistico-culturali, anziché chiedere ed esigere che siano degli ospiti— che accogliamo dando loro l’opportunità   di migliorare la loro condizione di vita — a conoscere e a dialogare nella nostra lingua nazionale.

Oltretutto, se ci pensiamo bene, l’italiano è la certezza che ci è rimasta di un’identità   collettiva vilipesa e tradita dal rischio di estinzione a causa delle conseguenze letali del morbo del multiculturalismo sul piano della perdita dei valori comuni e condivisi. In un mondo in cui siamo soltanto noi a parlarlo e che ci ha già   declassato a idioma di serie B, se siamo noi stessi a relativizzarne il valore all’interno stesso dell’Italia mettendolo sullo stesso piano di decine di lingue straniere, la sua morte certa sarà   ancora più precoce dell’inevitabile tracollo demografico di una popolazione autoctona a tasso di natalità   zero. Non è una scoperta assoluta ma l’apparire sui tram milanesi della pubblicità   della Kinder Ferrero in inglese, spagnolo e arabo ci costringe a una rinnovata riflessione.

Come interpretare il fatto che la parlamentare di An, Daniela Santanchè, decida di far pubblicare un manifesto a pagamento con una scritta in arabo che recita «Imparate l’italiano e sarete più sicuri dei vostri diritti, dei vostri doveri e del posto che vi spetta nella nostra Patria»? Perché in uno Stato che si rispetti un privato cittadino si accolla l’onere anche finanziario di esortare lo straniero a imparare la lingua nazionale? Non dovrebbe essere una prerogativa e un dovere del governo e delle istituzioni affermare la centralità   dell’italiano? Evidentemente non è così visto che non solo non si ritiene che l’immigrato debba conoscere la nostra lingua, ma ci si rifiuta per ragioni ideologiche di prendere in considerazione tale ipotesi.

Tutt’al più si offre l’opportunità   all’immigrato di imparare l’italiano, come è nei piani del ministro della Solidarietà   sociale Paolo Ferrero, ma a condizione che sia lui a decidere se, quando e come accettare. E’ stato il ministro dell’Interno Giuliano Amato, lo scorso 11 ottobre, a formalizzare il rifiuto del governo a chiedere all’immigrato di conoscere l’italiano. L’ha fatto con una battuta: «Se a mia zia fosse stato chiesto di recitare l’Oxford Dictionary quando sbarcò a Staten Island, probabilmente sarebbe stata respinta dagli Usa e rispedita in Sicilia a fare la fame perché, a quei tempi, lei e tanti altri emigranti parlavano a stento l’italiano». E questa è stata la sua conclusione: «Ciò che non hanno chiesto a mia zia non intendo chiederlo agli immigrati che arrivano in Italia». Il discorso di fondo è una esplicita opzione per una società   multiculturalista in cui vengono relativizzate le identità  , le culture, le religioni e le lingue.

In quell’occasione Amato ha presentato raggiante un opuscolo «In Italia in regola », tradotto in sette lingue straniere e stampato in un milione di copie. Iniziative simili sono state fatte da diversi ministeri che interagiscono con gli immigrati. Ebbene se lo Stato investe milioni di euro per tradurre le regole comuni e riuscire a comunicarle a chi risiede nello stesso spazio territoriale, significa che ha fallito in partenza perché non ha compreso che solo condividendo la lingua nazionale, in aggiunta ai valori e alla cultura, potrà   iniziare il percorso per una costruttiva integrazione. L’investimento deve essere fatto non per rincorrere le lingue dei nostri ospiti,ma per vincolare l’ospite a conoscere la nostra lingua. Deve essere un obbligo, non un optional.

 

Non c’è poi da sorprenderci se al tradimento dell’italiano in patria si accompagna l’abbandono totale della sorte della lingua nazionale all’estero, concedendo spiccioli alla Società   Dante Alighieri (solo 1,7 milioni di euro contro i 300 milioni del Goethe Institut) e assottigliando sempre più i finanziamenti agli istituti di cultura italiani nel mondo (17,5 milioni di euro nel 2006). Ecco perché è ridicolo che ci si scandalizzi se l’Unione Europea e le Nazioni Unite declassificano l’italiano. Ma se non ci crediamo noi stessi al valore della nostra lingua e l’abbiamo trasformata nel simbolo di un suicidio nazionale, perché dovrebbero riabilitarla e riesumarla gli stranieri?

www.corriere.it 24 ottobre 2007

4 pensieri su “No al suicidio dell’italiano

  1. volevo aggiungere circa la Santanché
    giustamente mi lascia perplessa che sia un singolo cittadino che finanzia della pubblicità progresso, ma in quale città??? anche in campagna elettorale c’è sempre un partito e dei finanziamenti, quindi per questo parlavo di demagogia e di un po’ di pubblicità magari deducibile dalle tasse…o forse del denaro da dover assolutissimamente investire con un ritorno di immagine notevole, visto l’argomento trattato, ma quanto se ne è parlato in Italia?

    però l’uso della madrelingua è essenziale per instaurare un minimo dialogo ed un primo contatto, d’altronde questi immigrati sono stati accettati o no nel nostro paese e nella nostra società??? ecco quindi il nodo cruciale: capire cosa c’era scritto sui manifesti… non parlando l’arabo la mia unica speranza è che ci fossero numeri di telefono ed orari… un minimo indizio!

    fatemi sapere…

  2. Riflessione lunga, come al solito, però sono soddisfatta, di aver tirato su questo blog, dove continuo sempre a ragionare su quello che sono e penso.
    A te che hai postato l’articolo e a Carolina prima ancora che te lo ha inoltrato, un grazie particolare.

    La tendenza di ogni straniero, regolare o meno, che si trasferise o riesce ad arrivare all’estero, è quella di ricercare la comunità dei suoi connazionali, che ti aiutano nell’inserimento e nei primi giorni è fondamentale. A maggior ragione quando arrivi con moglie e famiglia a maggior ragione se sei un clandestino o se poi lo diventi. Diciamo che la mia esperienza con gli extracomunitari, come cittadina romana e come insegnante di italiano volontaria (qualche anno fa), è che prima o poi la lingua la si impara. Quando soprattutto si è immersi nella realtà cittadina e bisogna lavorare, lin una casa, in un ufficio, tra le impalcature o per strada, a comunicare si impara e anzi c’era molto entusiasmo tra gli extracomunitari che venivano a studiare e mi ricordo di una famiglia sudamericana che portava anche le due bambine, perché non sapevano dove lasciarle (entrambe le bimbe nate in Italia e la più grande era bilingue, la seconda aveva pochi mesi). Come lavoratrice extracomunitaria e privilegiata all’estero anch’io ho fatto affidamento sugli italiani che ho incontrato ed ho iniziato a studiacchiare la lingua per sopravvivere, ma visto IL MIO CONTESTO LAVORATIVO, sopravvivevo anche con quel minimo, perché non lavoravo in un ambiente in cui il turco (per fare un esempio con una lingua difficile da acquisire) era un requisito essenziale.
    Bisogna secondo me quindi conoscere i movimenti migratori e il tipo di stanzialità (tempo, luogo, lavoro, contatti, quanto è grande la comunità, come è organizzata), per capire quindi come arrivano in città, come vivono in città e la città stessa ed eventualmente perché non si crea un bisogno di parlare la lingua italiana. Ma questo NON PARLARE chi riguarda? I minori di 18 anni vengono inseriti a scuola, quindi chi rimane? i loro genitori? In quale comunità si è registrato un minore tasso di acculturazione verso la cultura e la lingua italiana? Mi vengono in mente i cinesi, famosamente noti per l’impenetrabilità delle loro comunità e forse le donne arabe e più in generale asiatiche, che raggiungono i loro mariti in Italia, da qui ecco la storia della Santanché probabilmente. Sebbene pensi sinceramente che sia il suo un modo demagogico, e superficiale per lavarsi la coscienza… mi chiedo se il manifesto dicesse dove si tenevano i corsi, se parlasse di corsi gratuiti… c’erano numeri telefonici da chiamare? c’erano indirizzi? ma questo è fondamentale (io mi illudo di sì, a saperlo!).
    Questo però non significa che mi trovi d’accordo con il Ministro Amato, almeno per come è stato citato da Allam, perché emigrare adesso non è come 60-100 anni fa. Tu dici bene ildue che la sfida è cambiare, non mantenere a tutti i costi, ma il primo passo chi lo deve fare? Proprio perché la sfida è cambiare mi sarebbe piaciuto rimanere in turchia per un altro anno e questo l’ho capito solo dopo essere partita e parlo a prescindere dalle amicizie che ho stretto, ma intendo proprio per capire le dinamiche del paese e nell’idea di potermi relazionare meglio e capirci di più parlando in turco con la gente comune. Perché tutti i miei amici turchi parlavano, anche se un minimo, italiano, l’inglese era scontato. Questo porta ad una percezione della realtà che si vive un minimo alterata perché comunque mediata e ti influenza sul fatto che sia necessario, per vivere, imparare la lingua.

    L’articolo di Magdi Allam quanto meno stimola in me alcune riflessioni, ecco non mi lascia indifferente. Pur condividendo la sua perplessità, il suo articolo lo reputo in alcuni tratti pericolosamente generico. Ma ribadisco che dentro di noi c’è il male ideologico, di non chiedere o pretendere per non essere accusati di razzismo o ingiustizia sociale ecc ecc
    Mi chiedo inoltre se il Signor Allam si sia dimenticato delle sue origini. Proprio poiché è uno straniero, (lo è ancora?) forse si deve guadagnare ancora la stima di qualcuno o deve per forza estranearsi per potersi sentire legittimamente un giornalista, un vice direttore di giornale oppure anche lui deve fare del qualunquismo la sua religione per attirare più lettori? Non so forse rileggendolo a lungo….

    grazie
    ll*

  3. Sì, ok, ma quando sento slogan tipo “morbo del multiculturalismo” mi vengono i brividi.
    Bisognerebbe affrontare la questione in modo non ideologico, come fa Ladylink, allora magari la discussione diventa interessante.
    A leggere l’articolo mi sembra ovvio che Allam non sappia niente del Quadro Comune Europeo, delle ragioni per cui è stato realizzato, del plurilinguismo e del multiculturalismo. Non sappia niente di dove abbiamo deciso (in Europa) di andare, con buona pace dei benpensanti reazionari.
    La sfida è cambiare (modificare come si modifica il mondo e la realtà) la propria identità, non mantenere a tutti i costi.
    Questo chiediamo a quelli che vengono qui, questo dobbiamo chiedere anche a noi stessi.

  4. Beh
    per quanto mi riguarda il taglio di finanziamenti esteri sono una vera piaga… in parte sono d’accordo con Allam, quanto al fatto che in Italia, per ragioni ideologiche, ci si rifiuta di richiedere allo straniero uno sfonzo anche minimo verso la nostra lingua e cultura. Mi sarebbe piaciuto leggere di piu’ a proposito e di cosa si nasconde dietro alla nostra paura di pretendere o meglio di richiedere che la lingua venga imparata. Io credo che sia una paura di venir tacciati di razzismo o intolleranza, questa accoglienza senza frontiere. Ma dobbiamo pur ricordare (e l’ho gia’ scritto in altri post) che un alunno straniero in Italia viene accolto a scuola anche se non ha i documenti in regola, la scuola come rifugio e’ sempre aperta per gli extracomunitari, e’ per questo che il flusso di entrata nelle classi e’ continuo, o mi sbaglio? Solo che mentre in Germania la conoscenza della lingua tedesca e’ un prerequisito per entrare a scuola, in Italia lo studente sopravvive anche senza, qualche volta viene tolto dalla lezione per imparare la lingua, piano piano imparera’ a comunicare nella vita di tutti i giorni e non si sa quando sopravvivera’ alle lezioni, mi sbaglio???
    Come fare poi a far integrare gli immigrati che si chiudono in ghetti? da quanto non passate a Piazza Vittorio (se siete di Roma)? Quanto fa il sindaco per entrare in contatto con quelle persone, per conoscere di cosa realmente vivono, perche’ vivono isolati e perche’ spesso sono i figli che vanno a scuola a dover fare da tramite? Quindi basta che i figli vadano a scuola o che si facciano un corso di italiano? Pero’ e’ pur vero che mi chiedo perche’ vengono proprio in Italia con quanto costa la vita, sara’ che siamo il paese del ma dai poi tutto si sistemera’, intanto passa pure la frontiera!
    POI VORREI PROPRIO CHIEDERE A MAGDI ALLAM PERCHE’, PERCHE’ RIPETO, il figlio di un extracomunitario regolare REGOLARE, che parla italiano e ha un lavoro e paga le tasse, insomma perche’ questo bambino nasce in ITALIA, STUDIA IN ITALIA ED HA AMICI E CULTURA E LINGUA ITALIANA ANCHE NEL SANGUE perche’ respira aria italiana dal primo vagito, eppure deve aspettare 18 anni per ottenere la nazionalita’ italiana…. E POI RIPARLIAMO DI QUANTO E COME E DOVE E PERCHE’ UN EXTRACOMUNITARIO DEVE STUDIARE LA LINGUA ITALIA A E DI QUANTO SCEMI SIAMO NOI CHE LI GIUSTIFICHIAMO PER DELLE FALSE PAURE

    poi vorrei capire: perche’ la lingua e’ stata declassata? ovunque ho lavorato la lingua italiana era sempre in crescita!
    mumble mumble

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