D. Larsen-Freeman e la complessità

Diane Larsen-Freeman sarà l’ospite d’onore del convegno dilit 2008.
Uno degli ultimi articoli della professoressa americana è The Emergence of Complexity, Fluency, and Accuracy in the Oral and Written Production of Five Chinese Learners of English.
Di seguito alcuni dei punti salienti dell’articolo e poi, in fondo la traduzione di due dei paragrafi più interessanti. Il tutto a cura di Porfido, con l’aiuto di Kappa.

La metafora dominante – seguita dalla maggior parte degli studiosi della Second Language Acquisition (in Italia la “Linguistica acquisizionale”) viene chiamata da Diane Larsen-Freeman la “developmental ladder metaphor” (metafora dello “sviluppo per gradini”). Tale metafora lascia credere che:

  • esistano lingue madre e lingue bersaglio fisse e omogenee;
  • l’acquisizione di una L2 sia un processo di crescente conformità ad una lingua bersaglio uniforme;
  • esistano stadi discreti attraverso cui si passa;
  • il progresso vada definito in termini di una sola dimensione di un solo sottosistema, cioè la correttezza della morfosintassi (invece, per esempio, delle dimensioni della scorrevolezza, o della complessità, o dei sottosistemi del lessico, della fonologia, della grammatica testuale, o più credibilmente, dell’interazione fra tutto questo);
  • la lingua sia puramente una risorsa cognitiva;
  • gli apprendenti seguano il processo in modo piuttosto simile l’uno all’altro;
  • e quindi, sia possibile adottare un’agenda di ricerca che si occupi prima di descrivere l’apprendimento in generale e poi semmai di cercare di spiegare quei casi di apprendenti che non si conformano bene al tale modello.

Per la Larsen-Freeman, invece, lo sviluppo va concepito come un processo complesso di costruzione dinamica, che ha grandezze diversificate sia spaziali che temporali, e che si dirige in direzioni diversificate.
Quindi in contrasto con le assunzioni della metafora dello “sviluppo per gradini”:

  • la lingua non è fissa ma al contrario è un sistema dinamico. La lingua si evolve e si modifica mentre le persone la usano. Sia la L1 che la L2. La lingua cresce e si organizza dal basso in un modo organico, come altri sistemi complessi. Fermo restando che al livello locale di una comunità linguistica il necessario adattamento produce un certo grado di regolarità riguardo all’emersione di determinati aspetti di struttura, di significati e di pragmatica, complessivamente la lingua ha ben poco di fisso. Quindi, acquisire la lingua non può significare conformarsi ad una norma. La lingua vista come un sistema statico, omogeneo è una forzatura che non corrisponde ai fatti;
  • la morfogenesi (la creazione di forme nuove) è una delle prove che gli apprendenti non si conformano al mondo linguistico che li circonda, bensì lo trasformano attivamente;
  • non esistono stadi discreti: esistono momenti di fluttuazione, come esistono momenti di più forme in apparente competizione fra di loro per esprimere lo stesso significato, come esistono momenti di apparente immobilità, come esistono momenti di brusca ristrutturazione radicale;
  • la lingua non è soltanto cognitiva, è anche sociale. L’azione sociale, l’identità sociale, gli obiettivi sociali, gli stati affettivi hanno un effetto profondo sulla lingua acquisita;
  • Ogni individuo segue un percorso personale. Fatto nascosto a chi vuole soltanto cercare generalizzazioni. In realtà l’individuo determina quali aspetti del mondo esterno gli siano pertinenti.

Di seguito due punti estratti dall’articolo:

6. Gli apprendenti non progrediscono in maniera costante attraverso stadi di sviluppo. C’è una grande diversità in un determinato momento dell’esecuzione linguistica dell’apprendente, che si chiarifica ancor di più nel tempo. La variazione e la fluttuazione sono caratteristiche importanti dei sistemi dinamici (Thelen e Smith 1994; van Geert and van Dijk 2002) e non vanno considerate semplici errori di misurazione. La fluttuazione e la variabilità in parte esistono per via del fatto che gli apprendenti adattano dinamicamente le loro risorse linguistiche al contesto che peraltro cambia continuamente. (Tarone 1979). C’è quindi un’interazione dinamica tra le capacità di una persona e le opportunità che il contesto offre (context affordances) (Clark 1997; van Geert e Steenbeek 2005). Nonostante sia possibile separare contesto e persona per ragioni di analisi, questa separazione richiede l’inammissibile assunto che le due cose siano indipendenti (van Geert e Steenbeeck 2005). L’esecuzione risulta invece per sua natura contingente: una soluzione pratica ad una situazione data (Thelen e Smith 1994). L’instabilità persistente dei sistemi complessi (Percival 1993) si deve al fatto che l’uso delle risorse linguistiche da parte di una persona va a modificare le risorse stesse.

7. I percorsi individuali di sviluppo, quindi, ciascuno con le proprie varianti, possono essere piuttosto differenti gli uni dagli altri, anche se in una visione ad ampio raggio questi percorsi sembrerebbero essere abbastanza simili (de Bot, Lowie e Verspoor in corso di pubblicazione). Una conseguenza di questa visione è che le generalizzazioni sull’apprendimento sono elusive e non sembrano stare in piedi nei confronti delle differenze individuali (Larsen-Freeman 1985). Alcune delle differenze individuali derivano dal fatto che le persone tendono a selezionare e a manipolare attivamente i contesti nei quali agiscono (van Geert e Steenbeeck 2005). Si potrebbe infatti dire che gli individui non solo determinano quale aspetto della realtà sia pertinente, ma costruiscono attivamente il mondo circostante e lo alterano costantemente (Lewontin 2000).

Da The Emergence of Complexity, Fluency, and Accuracy in the Oral and
Written Production of Five Chinese Learners of English

Trad: ildueblog

5 pensieri su “D. Larsen-Freeman e la complessità

  1. Pingback: il due blog» Archivi Blog » Addio a E. N. Lorenz, padre della teoria del Caos

  2. Interessantissimi spunti, mi piacerebbe leggere il seguito. Esiste anche un link in inglese con gli estratti?

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