Non essere, questo è il problema

In questi giorni si assiste ad un balletto su problemi legati a come accogliere gli stranieri che non sanno l’italiano nella scuola pubblica.

C’è un solo argomento di cui so qualcosa ed è questo. E quando sento i nostri politici-opinionisti dire la loro posso cogliere tutta la loro incompetenza,demagogia e falsità.

Il testo sulle classi ponte (anzi: classi di inserimento) ha scatenato un terremoto, un piccolo terremoto, una scossetta, insomma sono volati un po’ di insulti come al solito. Voluto dalla Lega per farne, evidentemente, un cavallo di battaglia da cavalcare quando si parla della difesa dei nostri ragazzi e della nostra scuola e della nostra cultura (ma nostra di chi poi, dato che si dicono non italiani?), il testo è stato accolto come una proposta “intollerabile, incivile e razzista” dalla sinistra. Veltroni come italiano dice di non poterlo tollerare, secondo Epifani così torna l’apartheid. Per Famiglia Cristiana “le classi ponte per gli studenti stranieri complicano l’integrazione e puntano all’espulsione degli immigrati”.

I colleghi del Progetto Alias di Ca’ Foscari sono anni che propongono laboratori linguistici nelle scuole pubbliche, a Firenze si fa da una vita. Io stesso quasi ogni anno insegno in progetti delle scuole superiori, in laboratori linguistici che affiancano le normali lezioni. E non mi sembra di aver creato l’apartheid.

Certo, la soluzione vera sarebbe quella di formare gli insegnanti a lavorare con classi miste, come dice Fabio Caon, in classi ad abilità differenziate, ma non pare proprio questa la direzione intrapresa, troppo cara e ambiziosa per il nostro paesello.

Con una punta di illusione nel cuore voglio ancora inquietarmi e indignarmi, almeno su due punti:

1. Anche se si fa una proposta che potrebbe avere nella nostra (inesistente) categoria una risorsa, la cecità non permette di considerarci. Non siamo e il problema è proprio questo.

2. Possibile che una persona della levatura di Alessandra Mussolini debba essere l’unica a dire una cosa almeno di civiltà? (“Pur consapevoli della problematicità dell’inserimento dovuto alla lingua ed alle diversità culturali degli studenti stranieri riteniamo però fondamentale per una reale integrazione la possibilità di scambi di sapere. Chiediamo, quindi, di valutare con la dovuta attenzione la possibilità di creare ‘classi di transizione’ che rischierebbero di dar luogo a diversità tra gli studenti suscettibili di trasformarli in cittadini socialmente diseguali”)

In fondo le risposte ai miei quesiti le ho già: bisogna tagliare posti di lavoro, i precari usciranno dal giro per molti anni, creiamo classi “altre”, magari finanziate con soldi regionali e comunali, in cui buttare questi disgraziati. Ecco spiegata l’operazione “classi di inserimento”.

Vale davvero la pena di indignarsi ancora?

3 pensieri su “Non essere, questo è il problema

  1. E’ vero che l’inserimento diretto, senza appoggi, è dannoso, almeno dagli otto anni in su, perché causa frustrazione e compromette la capacità di apprendimento. Ma l’idea di creare classi separare è sbagliata fin dalle fondamenta: poggia infatti sull’intenzione di difendere le esigenze (presunte) degli allievi italiani e degli insegnanti che non sanno gestire (e come potrebbero?) una classe ad abilità differenziate. Dal momento che l’interazione fra pari è una ricca fonte di apprendimento, le esigenze degli allievi stranieri che luogo hanno nelle riflessioni dei pensatori padani? Bisognerà spiegare loro che al centro di qualunque insegnamento c’è lo studente, ogni studente. Riusciranno mai i nostri eroi ad ampliare l’orizzonte dei loro minuscoli cervelli?

  2. una domanda: come funziona all’estero l’inserimento di studenti stranieri nelle scuole?
    io non lo so- per ignoranza mia, ma i ns.politici non potrebbero prendere spunto dalle buone pratiche di altri paesi europei?

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