La scuola? Un anestetico intellettuale

Tutti noi, che scriviamo e leggiamo questo blog, abbiamo sentito, letto, scritto e parlato di tanti glottodidatti, pedagoghi, studiosi, colleghi, di tutto il mondo. Non è il caso di fare nomi, sono tanti e tutti, meritatamente, famosi.
Pochi di voi però avranno sentito o letto di Marcello Bernardi, un pediatra e pedagogo che ha pensato e scritto tanto, fino alla morte avvenuta nell’ormai lontano (ma non troppo) 2001.

Bernardi è stato un personaggio straordinario, dal pensiero deviante, con una prospettiva e una visione del mondo per sua natura controcorrente. Non è facile trovare aggettivi che lo definiscano, perché sarebbero sempre pieni di limiti e poco rappresentativi, per cui eviterò di farlo.

Vi propongo però di dedicargli un po’ di tempo. Qui potete leggere una sua bella intervista a tratti emozionante, mentre qui sotto vi riporto un brano tratto da “Educazione e Libertà”. Ho finito da poco di leggerlo, e mentre lo sfogliavo pensavo spesso che molte delle peculiarità del bambino le ha anche lo straniero, soprattutto lo straniero in Italia.

Ma non voglio forzature, il pensiero di Bernardi è così lucido e potente per ispirare (o irritare, ma comunque far riflettere) qualsiasi genere di educatore, dall’insegnante di italiano per stranieri al professorone universitario, al maestro, al genitore.

Buona lettura.

La scuola, quella tradizionale, è semplicemente un colossale impianto industriale per mezzo del quale si distribuiscono, a chi vuole e a chi non vuole, dosi massicce di anestetico intellettuale, culturale, politico e morale. Il suo prodotto  finito è quel cittadino-modello desolante, amorfo e malleabile che è disperatamente incapace di critica, di ribellione e di autoaffermazione.

Su questo punto vale la pena di insistere: il diventare un maneggevole e volenteroso suddito è cosa meritoria per la scuola. Il non diventarlo cosa biasimevole. Ne consegue l’opportunità di neutralizzare i recalcitranti e, prima di tutto, separarli dagli altri. Il sistema scolastico fa di tutto per tracciare una chiara linea di demarcazione fra l’area dei remissivi e quella dei sediziosi. Il metodo con cui si arriva a questa selezione è quello delle graduatorie di merito.

In base a queste i bambini vengono divisi in categorie: i migliori, quelli così così e recuperabili, e i peggiori, non recuperabili.

I migliori, quelli che dimostrano la loro attitudine a raggiungere la licenza, il diploma e poi la maturità e la laurea, sono i bene ammaestrati, gli indottrinati, i manipolabili, quindi i fidati. I peggiori, destinati palesemente a restare senza titoli, senza etichette, senza cultura codificata, diventeranno individui imprevedibili e quindi infidi. Si provvede dunque a incoraggiare i primi in tutti i modi e a respingere i secondi. Se vuole ottenere l’approvazione e il plauso degli adulti, il bambino è pertanto costretto a darsi da fare, in qualsiasi maniera, per entrare nella categoria degli eletti.

E’ così che nasce quel flagello scolastico che è la competizione. I compagni di scuola non sono più dei compagni, ma della gente da battere nella corsa verso il successo. un gioco stupido e disumanizzante che durerà per tutta la vita, che entrerà subdolamente a far parte della personalità del bambino e che lo porterà a diventare un miserevole scalatore sociale. Un gioco che sostituirà l’arrivismo al rapporto affettivo, la rivalità alla collaborazione, l’egoismo alla generosità’.

Marcello Bernardi, da Educazione e Libertà

7 pensieri su “La scuola? Un anestetico intellettuale

  1. Mi trovo piuttosto in linea con il suo pensiero … la scuola dovrebbe anche essere una scuola di vita d del rispetto del prossimo, soprattutto del diverso.
    Un saluto

  2. anch’io come Porfido mi ritrovo nelle parole di Bernardi e sebbene non fossi proprio l’ultima della classe credo che tutta la struttura e l’istituzione remasse per l’appiattimento e la banalizzazione, soprattutto senza incentivare il pensiero autonomo e critico. Durante il liceo non avrei mai pensato di diventare un’insegnante perché la ritenevo la professione dei “moralizzatori”. Per fortuna, invece, lo sono diventata, grazie all’incontro con la glottodidattica, ma adesso rimpiango di lavorare nel privato e non nel pubblico, per portare una goccia di polemica nell’oceano dell’ovvio.

  3. Interessanti tutti e due i vostri punti di vista. Provo a portare la questione in termini operativi. Un’istituzione, una società, se vuole che si sviluppi un atteggiamento, deve premiarlo. E il miglior premio in qualsiasi disputa è quello di vedersi dare ragione. Poniamo a questo punto una premessa, sulla quale credo saremo d’accordo: un pensiero divergente, deve comunque essere logico, conseguenziale, per essere premiato. Quali tecniche didattiche possono potenziare questo spirito critico? Non sono d’accordo con chi crede che una tecnica didattica come quella proposta col nome di “lettura autentica” dai formatori della Dilit stimoli la rigorosità di pensiero (https://www.youtube.com/watch?v=RGv877e7hCg). Può andar bene per un livello di comprensione molto superficiale, informativo. Ma, a mio modo di vedere, si svolge soprattutto su binari che tendono alla convergenza. Secondo la mia esperienza, affinché emerga in questo tipo di attività un’eventuale differenza di interpretazione, anche parziale, si deve presupporre uno spirito critico, uno spirito scettico che è patrimonio di pochi e che invece andrebbe costruito attraverso l’intervento pedagogico. Senza contare un’alta motivazione ad ingaggiare una discussione su se Gianni abbia preso una birra invece di un’acqua minerale gasata; questione che in genere, senza stimoli esterni, viene giudicata dalla maggioranza degli studenti come qualcosa di poco rilevante nell’economia generale della loro esistenza (“Gianni e Maria sono al bar, ordinano qualcosa, lui racconta della sua vacanza; e direi che in merito possiamo considerarci contenti così.”). D’altra parte, non sono neanche d’accordo con chi come il prof. Balboni propugna attività di guida verso la ‘giusta’ comprensione del testo (cfr. pag. 24 http://www.almaedizioni.it/media/upload/officina/raccolte/raccolte_in_pdf/off.it.4.pdf).

    Forse alcune tecniche didattiche che potrebbero sviluppare uno spirito scettico e una penetrazione maggiore del testo potrebbero essere:
    a) le domande a scelta multipla in cui si dà l’opzione che la domanda non è pertinente al testo o non è suscettibile di alcuna risposta viste le informazioni fornite dal testo. In questo modo, auspicabilmente, si sviluppa nello studente un atteggiamento incredulo nei confronti del supporto didattico;
    b) la manipolazione del testo che ne mina la coerenza. Qualcosa del genere. http://www.almaedizioni.it/interattive/Domani1//LEZIONE_13/E2_frase_intrusa_JQUIZ.htm

    Per quanto ne so, ma posso sbagliare, sono sentieri poco battuti, fino ad ora. Almeno nella glottodidattica italiana.

  4. Capisco bene il tuo punto i vista, Fabrizio. Ma io mi riconosco molto invece in quelle parole. In troppi casi la scuola ha l’intento di appiattire, di istituzionalizzare il concetto di bravura. Essere bravi in troppi casi significa sapere nel senso di ricordare ciò che per l’insegnante è importante, in barba non solo a quello che pensa lo studente, ma addirittura all’idea stessa che lo studente possa essere portatore di un punto di vista. Io ripeto che sono stato un cattivo studente, e il perché posso dirlo ora che sto dall’altra parte: perché la scuola mi annoiava e non ero abbastanza furbo da fare il minimo indispensabile per accondiscendere le aspettative dei miei insegnanti. Questo è andato avanti finché una prof non mi ha chiesto cosa ne pensassi. Una donna illuminata, non dal metodo particolarmente innovativo, ma consapevole che la missione della scuola fosse permettere alle personalità di sbocciare.
    Ci sono un mare di conoscenze extrascolastiche che vengono frustrate dalla scuola perché meno importanti. Ma meno importanti non sono, e alcuni ne faranno la propria vita. In Italia continuiamo ad avere figli che non possono godersi un parco nel fine settimana perché devono fare i compiti, pratica odiosa da parte di insegnanti che non sono in grado di far sì che a scuola si studi, si faccia cioè quello a cui quel luogo è deputato. Spiegazioni di nozioni, studio a casa di nozioni e interrogazioni su nozioni: il modo migliore per formare dei soldatini, da valutare in termini quantitativi e giudicare come fossero qualitativi, portando su un palmo di mano i più bravi e gettando nella melma i meno bravi, che magari lo sono perché a casa non hanno una stanza dove studiare, o solo perché i genitori non hanno il tempo di seguirli ed aiutarli a fare i compiti, o perché a scuola non riescono a concentrarsi su cose noiose e di cui non si capisce l’utilità. Questi vengono relegati nel limbo di coloro che son bocciati: sono i ripetenti, gli scarti, e così si sentiranno, e così cresceranno.
    Detto questo, non metto in dubbio che ci sono tanti “bravi” intelligenti, ma contesto il fatto che l’intelligenza sia da ricercare nel successo scolastico.

  5. Personaggio sicuramente molto interessante e stimolante, Marcello Bernardi. Tuttavia, non sono per niente d’accordo quando dice che “I migliori, quelli che dimostrano la loro attitudine a raggiungere la licenza, il diploma e poi la maturità e la laurea, sono i bene ammaestrati, gli indottrinati, i manipolabili, quindi i fidati”. Si può essere non allineati, critici con il sistema, di pensiero autonomo ed indipendente e non convergente e per niente manipolabili e contemporaneamente si possono ottenere licenze, lauree, diplomi e tanti ecc. E a volte, (opinione personale e soggettiva) è più facile (e comodo) combattere il “sistema” stando fuori che dall’interno, e credo che la storia politica, culturale e pedagogica italiana degli ultimi 30 anni ne sia un’indiretta (ma non troppo) dimostrazione.

  6. Grazie porfido per la segnalazione. Bernardi, come viene scritto nel profilo, è stato davvero il nostro B. Spock. Consiglio fortemente la lettura anche di quest’ultimo.

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