Una precisazione

Vorrei entrare nel merito dell’ultimo articolo postato.

Si scrive:

“Occorre un investimento maggiore – dice Patrizia Quartieri di Rete Scuole – per l´accoglienza dei bambini e delle famiglie. Bisognerebbe inserire i mediatori linguisti e i traduttori negli organici fissi delle scuole così come si fa per il sostegno agli alunni disabili». Per quanto riguarda l´inserimento dei ragazzini delle medie che da via Quaranta lunedì prossimo passeranno nelle scuole italiane, però, il direttore scolastico regionale Mario Dutto garantisce che ci sarà un programma ad hoc”.

Associare alla parola straniero la situazione di disabilità è questione che mi trova in totale disaccordo. Il disabile è persona che va aiutata a trovare strumenti per convivere nella realtà con il suo handicap. In sostanza è la realtà stessa che va modificata per far sì che non intralci il suo “modo di procedere”.
Vedere lo straniero in quest’ottica procura una pericolosa miopia. E infatti nell’intervista si parla di “traduttori” e “mediatori linguistici”, figure quantomai inutili se si vuole promuovere ciò che è possibile: l’integrazione a pieno titolo del bambino o ragazzo straniero nella scuola italiana.

Bisogna promuovere la conoscenza, non dare stampelle. Bisogna fornire maestri e professori di strumenti per far sì che ogni insegnante sia contento di avere stranieri. Bisogna formare i nuovi e i vecchi insegnanti all’intercultura, alle dinamiche acquisizionali, alla glottodidattica.

La scuola deve puntare in alto in questa sfida. Stiamo diventando anche noi una società multietnica e, nonostante la reazione della monocultura monolitica e inattaccabile, multiculturale. Essere pronti a fronteggiare questa situazione è uno degli obiettivi primari della scuola. Utopia? Forse. Resta il fatto che uno straniero non è un disabile e un disabile non è uno straniero. Il mio caro amico Max ha bisogno di ascensori e porte abbastanza larghe per poter fare lezione. Non è in quest’ottica che si aiuta Amina ad affrontare la scuola italiana.

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