La Mafia spiegata ai miei ragazzi (gli insegnanti fanno delle scelte)

(Vi avverto subito: credo sia il post più lungo che abbia mai scritto)

Per la gara di ripasso dei participi passati ho chiesto agli studenti, già divisi in gruppi, di darsi un nome italiano. E’ un’attività che puntualmente sottovaluto: ai miei occhi è la cosa più facile, per i miei studenti, no! Per trovare un nome qualsiasi in italiano impiegano un numero di minuti incredibilmente grande, i secondi si sommano raggiungendo numeri a 4, 5 zeri, così, quando, incredula, stento a credere di aver perso così tanto tempo, li invito a scegliere una parola qualsiasi. La svolta è indicargli l’argomento “cibo”, che li entusiasma sempre, si notano subito le lucine che si accendono dentro le loro testoline disorientate.
Martedì scorso qualcosa è andato storto, perché un gruppo mi ha detto: “Siamo pronti! Mafia”. Li ho fulminati sorridendo e ho aggiunto “No, Mafia non va bene. Cambiate nome” e mentre dicevo questo, le parole di una studentessa si sono incrociate con le mie “Sì, the God Father”. “No, non va bene, non accetto questi nomi, trovatene un altro” e hanno optato per “spaghetti” a cui, già stizzita, ho aggiunto io “Gli” mentre lo annotavo alla lavagna.
Gli insegnanti fanno delle scelte.
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Make Your Next Move Award… getting there!

regalo 320

E così è passato un anno.
E’ passato un anno da quel famoso post sugli esami finali che segnava il mio ritorno sul blog dopo un periodo di assenza. Nella mia vita, come nella vostra, è successo di tutto e di più sia sul profilo personale che professionale, che è quello che poi mi porta di nuovo qui. Quest’anno i sopravvissuti sono gli studenti del 320, il sesto semestre di lingua italiana, corso avanzato (o giù di lì) che frequenta sia chi continua a studiare italiano, sia chi studia Relazioni Internazionali e di semestri di lingua deve totalizzarne sei. Sette studenti su otto non proseguiranno gli studi di italiano, alcuni si laureeranno a dicembre, quindi, con il mio corso, hanno messo un punto finale ad un’esperienza iniziata tre anni prima.
Ma cos’è successo di straordinario quest’anno?
E’ successo che mi è stato fatto un regalo completato, o meglio arricchito, da un bigliettino in cui ognuno degli studenti ha scritto un suo pensiero ringraziandomi per il semestre.

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Insegnare italiano negli Stati Uniti, parte 3

Giunti al terzo appuntamento non ci resta che parlare dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole. Per le scuole americane è necessaria una certificazione specifica, la Teacher licensure (1), certificazione che si può conseguire attraverso diversi percorsi di studio. In linea di massima si deve preparare un esame scritto, il Praxis, accettato nella maggioranza degli Stati e suddiviso in due parti, la prima (in cui si viene testati in inglese -comprensione scritta, produzione scritta- e matematica) è propedeutica al Praxis II, in cui si supereranno delle prove più specifiche, legate alla materie che si vogliono insegnare. Gli Stati che non hanno adottato il Praxis hanno delle certificazioni proprie e, in generale, il Praxis è considerato uno dei requisiti per accedere alle certificazioni specifiche di ogni Stato.

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Insegnare italiano negli Stati Uniti, parte 2

In questa seconda parte cercheremo di capire meglio in cosa consiste il lavoro di un insegnante di italiano.

I corsi di lingua

(Queste affermazioni sono abbastanza arbitrarie. La situazione è complessa, per cui ho scelto di dare una versione abbastanza realistica, ma non esaustiva).

Nella maggior parte delle università i corsi di lingua sono di circa 40 ore a semestre, distribuiti su 3 incontri settimanali da 50 minuti (per i primi due livelli questo monte ore sale a 50). Gli studenti spesso devono studiare una lingua per quattro semestri. I primi due semestri, ottengono 4 crediti per corso, perché ci sono tre incontri settimanali (2×75’ e 1×50’). Gli ultimi due semestri i crediti scendono a 3 (come per qualsiasi altro corso che frequenteranno) e le lezioni passano a 2×75’.

Gli studenti devono essere esaminati spesso. Bisogna produrre voti che quantifichino il progresso e portino a un risultato numerico. Il voto finale è molto importante, per cui pur cercando di essere obiettivi, si cerca sempre di indorare la pillola.

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Lo stereotipo è servito (a lezione di conversazione)

Questo post era nato qualche giorno fa come commento al post “Esami finali: progetto finale alternativo o solito saggio scritto?“. Su suggerimento di porfido l’ho ampliato e commentato e ne ho fatto un post. L’ho diviso in due parti: la prima è per chi di voi ha a disposizione molte ore di corso, la seconda è per chi, come me, deve correre.

L’idea di adattare, per una lezione di conversazione (o di lingua), un racconto che ho fatto leggere in un corso di letteratura, nasce da Nicla (che lavora a Friburgo, in Germania), che su Italiano per stranieri (Facebook), ci aveva chiesto spunti su come introdurre a lezione con il suo gruppo di conversazione di studenti B2, il video in cui Igiaba Scego leggeva un brano estratto dal racconto Salsicce: “mi sento somala o italiana quando”. Quanto riportato sotto è stato adattato per il post dal commento. Ho aggiunto dei link che possono servire da esempio per gli spunti da portare in classe o per come prepararsi prima di andare in classe e trattare un argomento così delicato.

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Insegnare italiano negli Stati Uniti, parte I

Insegnare italiano negli Stati Uniti è un’opportunità di lavoro che vorrebbero avere in tanti.

In realtà insegnare italiano in un’università americana è un’esperienza a sé, piuttosto particolare, poi, se si hanno avuto esperienze anteriori sia in Italia che all’estero. Qui insegnare significa anche produrre voti ogni 15 giorni:  è una maratona di 40 ore semestrali equivalenti ai 42 chilometri che ci separano da Atene.

Nelle università americane l’italiano va? Sì, dai, va! Anche se in passato ci sono stati casi di Dipartimenti che hanno subito grossi tagli per esempio nell’università Suny, se non sbaglio (1). Nella parte est degli Stati Uniti l’italiano è studiato anche nelle scuole, soprattutto in New Jersey, dove in passato c’è stata una forte emigrazione di italiani. Anzi, alcuni miei studenti hanno la famiglia lì, ma vengono a studiare qui in Virginia, dove paradossalmente l’italiano non è insegnato nelle scuole ma solo nelle Università. (2)

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Esami finali: progetto finale alternativo o solito saggio scritto? (aggiornato)

Matt ildueblog

Sottotitolo: Ogni sgarrafone è bello a professoressa soja (1)

Traduzione: Riflessioni concitate sul semestre appena finito in mille parole circa (esclusa biblio-sitografia)

È così (1) che commento la fine tanto auspicata, ma alla fine anche un po’ malinconica, del semestre. Come ogni semestre anche questo si è contraddistinto per gli esami finali scritti, quelli orali, le presentazioni orali, tentativi in zona Cesarini (miei e loro) di recuperare l’irrecuperabile, composizioni che fioccano inaspettate, ripasso inviato alla prof al novantesimo minuto, ansie, nervosismo da parte degli studenti, ma anche sorrisi, anzi risatone e finito l’esame abbracci e baci, a cui seguiranno sottolineature e molti sospiri (solo miei stavolta), correzioni, voti, calcoli da far venire il mal di testa, conti che non tornano, un voto tolto lì e rimesso qui, insomma la solita manfrina a cui non ci si rassegna mai.

Ma questo semestre è speciale. È la fine del 232, del quarto semestre di lingua, che è il requisito di molti corsi di laurea. Alcuni continuano a studiare italiano e li rivedrò ancora, altri si comporteranno come le sonde Voyager.

Saluto i miei studenti dopo due semestri intensi di lavoro insieme, alcuni ce li ho avuti per la terza volta consecutiva (<<dei sopravvissuti>> gli ho detto, dandogli una pacca sulla spalla!). Questi studenti quando li ho salutati mi hanno detto tante cose belle, che gli studenti americani sanno dire, ma i miei in particolar modo e comunque erano sinceri, perché sono i miei studenti e anche a me mancheranno.

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Se saltassi sopra un oggetto…

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Se saltassi sopra un oggetto, salterei sopra Signora ladylink.

Questo ha scritto M. su Test 2, frase mitica, di un’accuratezza indimenticabile ed anche un po’ scomoda.

Ed eccomi alle prese con l’esame finale, stesso esercizio, con esiti degni di nota.

Nel corpo del post ve ne propongo alcuni. Voi, però, cliccate sull’immagine. C’è l’anima di Kyle, che merita una lettura. Si commenta da solo con l’ultima frase scritta da Kyle stesso, dove il mio tratto rosso è una bestemmia, che compromette l’incanto:

Se fossi un aggettivo, sarei “meraviglioso”, perché è vero.

Di alunni così, di più, non so…

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A lezione del 232 con Subsonica e Antonella Ruggiero

Questo intervento nasce dalla voglia di amplificare, se cosi’ si puo’ dire, quella sensazione positiva che mi rimane addosso quando un’attivita’ proposta a lezione si e’ dimostrata valida. Forte e’ anche la voglia di condivisione, e questo potrebbe essere un primo post inaugurale per una futura nuova rubrica. E comunque il punto di vista dei lettori, e’ utile, poiche’ esterno, anche quando un’attivita’ si e’ dimostrata ben calibrata e produttiva.

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A proposito di luoghi comuni…

Preso da Ponti, HOUGHTON MIFFLIN, edizione 2004, unita’ 3 (da p. 45 a p. 69… si accettano scommesse sui contenuti delle 25 pagine dell’unita’ 3!)

SI’, SI’ CLICCATE SULL’IMMAGINE PER AMPLIARLA…